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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2012 alle ore 16:45.
Un settore in cui non voleva entrare, ma che ora vorrebbe addirittura dominare. Apple ha fatto il grande passo e, dopo che Steve Jobs aveva più volte ridicolizzato il formato «innaturale» dei tablet da 7 pollici contrapposti ai 9,7 dell'iPad, i suoi eredi capitanati da Tim Cook entrano con decisione in questo mercato. Il mini iPad da 7,9 pollici, dice il designer Jony Ive, «non è una versione piccola dell'iPad ma condensata». Può essere usato con una mano sola, come i prodotti della concorrenza che hanno definito da due anni questo spazio di mercato.
Costa più dei rivali (329 euro), ma secondo Phil Schiller, capo del marketing di Apple, i soldi in più li vale perché è «un vero tablet di dimensioni mini, con tutte le funzionalità, non un compromesso al risparmio». E in Italia, per una volta, il costo non è il più alto: siamo il 13º Paese sui 28 in cui viene commercializzato.
Abbiamo provato in anteprima il nuovo iPad mini. Il responso è positivo. Al tatto è un oggetto solido e compatto, si tiene bene con una mano, è incredibilmente sottile. Niente da dire sullo schermo né su design e finiture, curate fino all'eccellenza per un prodotto di questa fascia.
Apple è stata in grado di far scalare in modo ottimo le lavorazioni di iPad e iPhone 5: in mano il mini supera facilmente sia Amazon che il Google Nexus 7 e il Samsung Galaxy Tab 2. La linea richiama esplicitamente le novità di iPhone 5 e del nuovo iPod, che si sta dimostrando tra parentesi un prodotto che vale metà delle vendite di tutti gli iPod ma che sarà forse il più cannibalizzato dall'arrivo del mini.
La capacità di esecuzione di Apple è immutata dai tempi di Jobs. L'ex ceo di Apple era capace di dare l'ordine e le priorità ai prodotti e questo manca alla nuova Apple.
La prova sta nell'improvvisa marcia indietro sul nuovo iPad, sostituito da uno di quarta generazione con il nuovo collegamento Lightning, così come nel lancio contestuale di MacBook Pro retina 13 e soprattutto del nuovo iMac. Tutto questo dimostra che il grande talento di Jobs non era solo nel dire «sì» all'innovazione ma anche nel respingere la confusione e l'accatastamento di funzioni e prodotti. Un talento che non è del tutto passato nel Dna della nuova Apple. In sette mesi l'azienda ha rinnovato quasi tutta la sua gamma di prodotti (rimane fuori il Mac Pro, per i ritardi di Intel con gli Xeon) ma lo ha fatto in maniera disordinata, rompendo i ritmi tradizionali. Per questa volta, vista anche l'eccellenza dei lanci, il mercato perdonerà. Ma nel futuro no.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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