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Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2013 alle ore 16:37.

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Una generazione di apparecchi che fanno tutto da soli. Non robot o androidi, ma droni. Cioè velivoli di cielo, terra e mare automatici, che si muovono guidati dal computer. Nati in ambiente militare, i droni stanno in realtà trovando rapidamente applicazione nei settori civili. Gli esempi più appariscenti sono le auto che si guidano da sole: un insieme di videocamere e sensori permette al computer di bordo di prendere decisioni non solo sulla guida ma anche sul percorso migliore da seguire e sul tipo di strada da percorrere. Se da due anni Google ha reso celebre il tema, facendo percorrere oltre 140mila miglia alla sua automobile nella Bay Area, inclusi San Francisco e il Golden Gate bridge, i progetti ci sono in realtà da molto tempo.

Darpa (Defense advanced research projects agency), l'agenzia governativa Usa del dipartimento della Difesa che negli anni Sessanta ha progettato internet, organizza dal 2004 il Grand Challenge, la sfida per riuscire ad avere entro il 2015 un'auto che si guida da sola. Ma dagli anni Settanta ci provano sia il Giappone che la Germania e l'Italia.
Da noi c'è stato il progetto Argo dell'Università di Parma, che ha realizzato le "Mille miglia in automatico" con hardware di comune uso (montato su una Lancia Thema) e che oggi ha creato il Viac international challenge. Tuttavia, non va dimenticato il progetto europeo Eureka Prometheus (dal 1986 al 1995). Però, dopo tanta buona ricerca, non è mai nato nessun progetto industriale.

Unico sbocco: il programma spaziale che ha usato alcune di queste ricerche per le varie rover inviate su altri pianeti. Google (e altre aziende) sperano invece di cogliere una nuova ondata di opportunità offerte dal bisogno di dominare i flussi di traffico delle smart city: secondo Google gli incidenti mortali su strada calerebbero del 40 per cento.
Ma se il robot che guida su gomma dà inquietudine al grande pubblico, il drone su rotaia è più "amichevole". Soprattutto per treni e metropolitane. Le moderne linee vengono sempre più spesso realizzate senza bisogno dei macchinisti in cabina, e all'aeroporto di Heathrow è stato costruito un sistema di "ovetti" per 4 persone senza pilota che trasferiscono i passeggeri dal gigantesco parcheggio al Terminal 5, orchestrando una complessa serie di precedenze, svincoli e differenti destinazioni.

Sott'acqua, invece, a partire dagli anni '60 sono stati sviluppati piccoli sottomarini a comando remoto che oggi vengono utilizzati come sonde che funzionano in autonomia nel campo della ricerca, della prospezione geologica, della posa e manutenzione di cavi sottomarini, della ricerca petrolifera.
L'idea del drone invece non ha mai attecchito nel cielo del trasporto civile. Il pensiero di salire a bordo di un jet di linea privo di pilota, per quanto attraente per gli ingegneri e gli amministratori delle compagnie aeree, non lo è per i passeggeri. Che, secondo una ricerca condotta alcuni anni fa da una rivista specializzata americana, preferirebbero piuttosto restarsene a casa. Eppure, nel settore aeronautico i droni hanno il massimo sviluppo.

Qui c'è la ricerca, ci sono gli investimenti e c'è anche un "piccolo segreto" che i piloti di linea conservano da tempo. Infatti, la maggior parte dei voli di linea si svolge con sistemi di pilotaggio automatico: quando si sale su un aereo per andare da Milano a Roma, sono i computer di bordo a scegliere le correzioni di altezza, velocità e direzione necessarie a tenere l'aeroplano nella rotta impostata dal pilota. Il pilota vigila, ma non tiene certo la cloche tra le mani tutto il tempo.
I sistemi informatici fanno gran parte del lavoro seguendo fedelmente le istruzioni dei piloti. È tutta un'altra cosa rispetto al volo automatico di un drone, ma la strada è quella: il computer è più affidabile, sia nei cieli che su gomma o su rotaia come sott'acqua. Questione di tempo per rendersene conto.

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