Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2013 alle ore 15:35.

My24
(Corbis)(Corbis)

Proteggere il copyright delle proprie applicazioni è il primo pensiero nella testa di uno sviluppatore o di una software house? La risposta, probabilmente sorprendente, è negativa. O meglio. Chi scrive programmi affronta il problema di come proteggere le proprietà intellettuali più importanti ma la mancata implementazione di modelli di licenza e di sicurezza adeguati porta a perdite di ricavi, diminuzione della profittabilità e rischi per reputazione e marchi.

La colpa di questa situazione è imputabile a tre fattori: sistemi di licensing poco flessibili, insufficienti livelli di protezione dei software e procedure operative poco efficienti. Il quadro di cui sopra emerge da uno studio condotto da SafeNet e Siia (Software & information industry association) su un campione di oltre 600 sviluppatori e poco meno di 200 aziende utilizzatrici finali a livello mondiale. Che la questione della proprietà intellettuale sia delicata è noto. La guerra dei brevetti che sta caratterizzando da anni il settore hi-tech e quello mobile in particolare ne è un'indiretta conferma. E il dato (elaborato dalla Business Software Alliance) che fotografa la diffusione della pirateria in Italia – il 48% dei programmi installati sui pc attivi nel Belpaese è illegale – non fa altro che enfatizzare, sotto altri aspetti, la portata del problema.

Visto dalla parte di chi il software lo scrive, questo il messaggio di fondo che sortisce dalla ricerca, il furto della proprietà intellettuale può rappresentare una grave perdita economica: quasi uno sviluppatore su due (il 48% per la precisione) parla di «impatto significativo sul business». Per contro il 53% si dice convinto di poter ricavare maggiori profitti dal proprio ingegno se i software si basassero su un sistema di licenze più flessibile. Il terzo nervo scoperto, sempre per uno sviluppatore su due del campione, sono invece le disfunzioni nei processi di back-office. Monetizzare il software, ne consegue, non è esattamente un'operazione scontata. Saper definire parametri come "pricing" e "packaging" è di fatto una qualità non meno importante della conoscenza degli standard web e dei linguaggi di programmazione più avanzati. Scrivere l'applicazione, in buona sostanza, è il primo passo: trovare la formula più adatta per distribuirla su larga scala, garantendone il necessario supporto, è un compito che mette in difficoltà quasi la metà degli intervistati.

Dal lato di chi il software invece lo usa, ecco emergere una verità probabilmente condizionata dalla sempre maggiore popolarità delle soluzioni cloud: la non flessibilità delle licenze è stata indicata da più di un terzo delle aziende utenti come il problema «decisamente più importante». Le stesse aziende, però, hanno anche ammesso – nel 60% dei casi almeno – come all'interno della propria organizzazione sia stato utilizzato nell'ultimo anno un programma "abusivo" o comunque privo di regolare licenza. Difficile, partendo da questi presupposti, poter etichettare la proprietà intellettuale come un asset di valore. Ma le responsabilità sono ben distribuite: tre quarti degli sviluppatori oggetto di indagine teme che il proprio software possa essere compromesso, ma solo il 46% si serve di strumenti dedicati per la protezione del copyright delle proprie opere. Come uscire da questa impasse? La ricetta magica sembra esserci e si chiama efficace strategia di monetizzazione del software. Chi è in grado di attuarla potrebbe far crescere i propri ricavi del 50 per cento. Ne è convinto oltre l'84% degli sviluppatori.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.