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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2012 alle ore 08:19.

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A darmi sollievo c'era il mio nuovo ruolo di diacono del Sacerdozio di Aronne, un ordine spirituale per maschi adolescenti. Tra i miei doveri di diacono c'era l'atto rituale di spezzare il pane, detto "Wonder Bread", in piccoli pezzi. Ogni domenica, con i miei amici mi mettevo in fila per le navate della piccola cappella per distribuire il santo pasto, che comprendeva bicchieri di carta pieni d'acqua presa da un rubinetto nascosto dietro al pulpito.

Nel mio vestito color carta da zucchero, con una cravatta marrone luccicante a clip, mi sentivo bello, utile e rispettato. Mi sentivo incluso, sensazione nuova per un ragazzo estenuato dai cambi di scuola. Mentre percorrevo la sala con il vassoio in mano, i volti grati affacciati dai banchi, di uomini e donne, di vecchi e giovani, dissolvevano la mia cronica sensazione di isolamento e mi convincevano che avevo trovato il mio posto.
La cosa che con più forza mi legava alla chiesa, però, non era religiosa ma ormonale. Avevo scoperto che le ragazze del mio rione (ward, un livello dell'organizzazione mormone, ndt) erano più carine di quelle di scuola. Forse l'usanza mormone di incoraggiare i giovani a sposarsi presto e per sempre, appena usciti dall'adolescenza, faceva sì che le ragazze fossero precocemente abili a farsi belle, scegliendo vestiti che slanciavano le gambe, scarpe da adulte, e capigliature appariscenti. Inoltre permettevano parecchi contatti erotici, anche se non l'amplesso vero.

Quella che mi piaceva di più era Carla H., scatenata ragazza pompon due anni più grande di me. Carla aveva un peccaminoso alito da sigarette al mentolo e una tremenda reputazione. Un paio di mesi prima che mi innamorassi di lei a uno dei balli del sabato che il rione teneva mensilmente, era scappata di casa – dicevano – per diventare la concubina del manager del ristorante in cui lavorava, un uomo sposato. I ragazzi meglio allevati la evitavano, ma io, un neoconvertito, non mi feci scoraggiare.
La famiglia di Carla, li chiamerò Harmon, faceva parte dell'aristocrazia mormone. Gli antenati risalivano ai pionieri che Brigham Young (4) aveva spedito nel Sud dell'Idaho a irrigare il deserto e costruire fattorie. Il pio stoicismo di questa gente tosta si leggeva in Mr. Harmon, ragioniere d'azienda di medio livello dalla faccia magra e grigia che di rado si rivolgeva ai figli, limitandosi a menzionarli nelle preghiere prima di cena. Sulla scrivania del suo ordinato ufficio casalingo pendeva una fila di fucili, e dopo cena sistemava una sedia là sotto e sedeva a organizzare i libri contabili del rione per ore e ore mentre io e Carla guardavamo la tv nella stanza accanto e Ken, il fratello diciannovenne di Carla, fumava erba e trafficava con la sua Camaro in garage. Provavo pena per quell'uomo. Sembrava sconfitto. Una sera emerse prima del solito dal suo ufficio e beccò me e Carla con le camicie mezze sfilate, ma invece di dire qualcosa ci passò vicino in silenzio ed entrò in cucina, dove lo udii aprire l'acqua del rubinetto e sciacquarsi la faccia.

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