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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2012 alle ore 08:19.

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Il mio problema era che Carla era infedele. Ero il suo fidanzato mormone, non quello principale. Quello principale era più grande di me e alto il doppio. Lo vidi una volta, al bancone del ristorante, portava un bomber coperto di spillette. Dalla sua postura capii non so come che i due avevano fatto cose che io non avevo fatto. La mia consolazione era sapere che in teoria io e lei potevamo avere un futuro insieme. In soli tre anni avrei servito la mia missione, spedito dalla chiesa in qualunque posto avessero deciso di inviarmi – io speravo in Inghilterra, perché non ero bravo con le lingue ma sognavo di andare all'estero – e una volta tornato a casa mi avrebbero spinto a cercare moglie. E sarebbe potuta essere lei. Ne accennò una notte. «Sto cercando di levarmi il pensiero», mi confidò mentre fumavamo erba nella Camaro del fratello. «Non credo sia una cosa permanente. Amo la chiesa. Solo che adesso non posso darle tutta me stessa».
Anche per me era diventato più difficile donarmi interamente. Per i miei genitori, ricaduti nella vecchia vita, che non mi riconoscevano più, ero un fenomeno amante delle scritture che gli anziani durante le funzioni invitavano a parlare di temi come il lavoro di squadra e la purezza morale, ma io sapevo come stavano le cose. Ero diventato ipocrita.

Alla mia ultima intervista con i vescovi – uno scrutinio rituale obbligatorio per ogni mormone a partire da una certa età – mi era stata posta una serie di domande che iniziavano, il che mi parve assurdo, con la seguente: «Hai mai commesso un omicidio?». No, certo che no. «Furto?». No, nemmeno, ma insomma dipende. «Ti sei mai masturbato?». Cominciai a mentire. Mentii per il resto dell'elenco. Non solo: ero abbastanza certo che mentissimo tutti. E allora perché ci imponevano questa tortura? Sentirsi chiedere se mentivi e vedersi costretti a mentire ancora era un fastidio e fiaccava lo spirito. Ti impediva di fingere di essere buono, il che a volte, da piccolo, è ciò che ti aiuta a diventare buono.
L'estate in cui feci sedici anni, partecipai, con il gruppo giovani, a un tour in pullman dei luoghi sacri mormoni del Midwest promosso dal rione. Il sito che più desideravo visitare era a Independence, Missouri (5): il luogo esatto in cui mi avevano detto che Dio avrebbe stabilito il suo regno eterno al momento della Seconda Venuta.

Un amico più addentro di me, cresciuto nella fede, l'aveva messa così: saremmo stati chiamati, tramite scritte nel cielo o suoni di tromba, a raccoglierci in questo luogo consacrato ed erigere un tempio a mani nude. Ci saremmo andati a piedi, come i primi santi avevano attraversato le pianure per insediarsi a Salt Lake City. Mi pareva divertente, e il mio amico disse che sarebbe capitato mentre noi c'eravamo ancora, dopo un periodo di incredibili devastazioni. Ma noi, disse, potevamo stare tranquilli grazie alle scorte di cibo e altro che la Chiesa ci incoraggiava a metter da parte. Non rivelai che la mia famiglia non aveva seguito il consiglio.

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