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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2013 alle ore 07:50.

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Imbarazzati, i vecchi ragazzi lo chiamano «errore tecnico» quando l'assalto di offerte li sommerge al punto che milioni di transazioni vengono registrate ai prezzi sbagliati. Il capo della banca leader, Gorman di Morgan Stanley, dà tutta la colpa al Nasdaq, la borsa che gestisce queste transazioni. Date le circostanze – letteralmente, la più grande Ipo della storia – suona come se Napoleone desse la colpa di Waterloo agli addetti ai rifornimenti per non aver consegnato in tempo la biancheria pulita alle prime linee.
Per ore, dopo l'inizio, il mercato fu un disastro. Quantità imprecisate di investitori pronte a spendere milioni si trovarono davanti un disastro grottesco, girarono i tacchi e tornarono a casa. Morgan Stanley e il resto del Vecchio Personale di Servizio & Co. riuscirono (senza rimetterci denaro) a sostenere il prezzo iniziale della Ipo, 38 dollari ad azione, fino alla fine del primo giorno. Nei dieci giorni successivi crollò poco meno del 25 per cento. Dopo diciotto giorni era sceso a 25,75, due terzi del prezzo di apertura. Il 2 settembre era piombato a 17,79, meno della metà dell'offerta iniziale.
E a coronamento arrivò una sfilza di accuse secondo cui Facebook aveva fatto male nel primo trimestre senza migliorare nel secondo, notizia che Morgan Stanley non aveva dato al pubblico – noto come i «compratori al dettaglio» – ma solo agli insider che avevano investito in Facebook prima della IPO.

«Non abbiamo fatto niente di male», rispose Morgan Stanley. Ma grossi insider quali Goldman Sachs, Accel Partners e Greylock Partners scaricarono le loro azioni sul mercato nel momento dell'apertura degli scambi del Nasdaq. Pare che se ti chiami «Compratore al dettaglio» significa che in campo c'è qualcun altro di nome «Ingrosso», e lui… ti ha già fregato. Scaricarono milioni di azioni, sufficienti ad abbassare da sole i prezzi. Un analista del Cowen Group, Peter Cohen, disse: «In qaurantatré anni non ho mai visto un bordello del genere».
La Ipo si dimostrò ben più che un bordello incredibile. Il 17 maggio è il giorno in cui Wall Street si ritrovò vaporizzata. Dopo il Facebook Day, tutto ciò di cui "Wall Street" era stata metonimia, il denaro vero, il Quadro Generale dell'economia americana, l'eccitazione, il senso che è qui che succede tutto, era finito.
Fino al 2006, uno spirito di virile audacia aveva pervaso le banche d'investimento di Wall Street. Scambiare azioni e bond era la cosa più vicina al combattimento armato. I guerrieri, vale a dire i broker, raccontavano di come combattere – come avevano affrontato non un nemico armato ma un ventaglio di schermi di computer – creava un'euforia più inebriante di ogni altro stato mentale immaginabile. Erano tutti fatti all'inverosimile – e non solo grazie all'estasi sconquassante della battaglia. C'era pure il fatto non incospicuo che questi Ragazzi del Boom – molti ancora ventenni, ancora capaci di arrossire – mettevano via milioni di dollari di bonus, ogni anno senza sosta…

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