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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 16:59.
In conseguenza delle guerre balcaniche degli anni Novanta e del prolungarsi fino al 2000 del regime ultranazionalista di Slobodan Milosevic, la Serbia è rimasta isolata dal resto dell'Europa ed è stata a lungo colpita da sanzioni. Tale situazione non ha giovato all'economia del paese e ha limitato l'appetito degli investitori stranieri. La Serbia è tornata a crescere soltanto negli ultimi anni, prima di subire l'influenza della crisi internazionale che ha causato una recessione intorno al 3 per cento nel 2009.
Nel frattempo, il paese balcanico ha vissuto un tardivo processo di liberalizzazioni, che hanno diluito il peso dello Stato nell'economia. L'agricoltura, a differenza di quanto accade nella gran parte degli altri stati europei, impiega più di un quinto della popolazione attiva. Oltre alla coltivazione dei cereali (in particolare frumento e mais), del girasole, della canapa, del lino e della vite, l'agricoltura serba ha un punto di forza in una diversificata frutticoltura.
Regina incontrastata dei frutteti è la prugna, che essiccata o inscatolata è destinata ai mercati esteri, ma è soprattutto impiegata nella distillazione della slivovica, il liquore nazionale. Estesa anche la coltivazione del tabacco. Nel settore dell'allevamento, hanno primaria importanza i suini ed è diffusa anche l'apicoltura. La principale risorsa del comparto estrattivo è il carbone che alimenta centrali termiche che garantiscono, insieme con quelle idroelettriche, la produzione di energia.
Oltre ad alcune raffinerie, l'industria serba conta sui settori metallurgico e tessile. Importante anche la produzione di automobili (la Fiat è presente in Serbia grazie all'acquisizione del marchio jugoslavo Zastava), di macchinari agricoli, di materiale rotabile e di utensileria. Di rilievo anche l'attività di trasformazione del legno, con imprese che producono carta, cellulosa e fiammiferi.