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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2011 alle ore 15:23.

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Sergio Marchionne e John Elkann a VeneziaSergio Marchionne e John Elkann a Venezia

di Gerardo Pelosi
VENEZIA - Sbuffa, fuma in continuazione, passa dall'italiano all'inglese (o meglio all'americano) e viceversa per dribblare una schiera di giornalisti che lo inseguono, affamati non solo di mezze battute ma perfino di un'alzata di sopracciglio tra i viali di quello che una volta era l'ospedale psichiatrico femminile di Venezia e oggi è un albergo a cinque stelle. Sergio Marchionne, ad di Fiat, si diverte, pare che il jet lag lo abbia messo di buon umore, dice che Alonso ha fatto una bellissima gara a Montecarlo la settimana scorsa, che la quotazione di Ferrari «è possibile» ma per «per il momento non servono altri soldi per Chrysler».

Ha attraversato l'Oceano per partecipare a Venezia alla seconda giornata di lavori del Consiglio per le relazioni Italia-Usa di cui è copresidente e che si trasforma, inevitabilmente, in una festa tutta per lui. Venerdì, alla stessa ora, stringeva la mano al presidente americano, Barack Obama, attorniato dai lavoratori di Toledo, Ohio, che lo ringraziavano in un tripudio di coccarde con su scritto "paid", pagato, il prestito restituito in anticipo all'amministrazione Usa. Una scommessa vinta a migliaia di chilometri di distanza da Torino. Solo giovedì scorso l'accordo con il Dipartimento del Tesoro Usa. Lo stesso giorno, rende noto ora Marchionne, Fiat ha offerto anche 125 milioni di dollari al Governo canadese per la quota, pari all'1,7%, detenuta dal governo di Ottawa in Chrysler. E allora - questo è il filo del ragionamento dell'ad di Fiat - se tutto ciò è stato possibile oltre Oceano lo si può fare anche a casa nostra ma «le condizioni devono cambiare», l'Italia deve saper «leggere in modo positivo» le ultime novità sull'asse Fiat-Chrysler. Per questo, aggiunge l'ad di Fiat, «è necessario cambiare l'atteggiamento». Lo stabilimento Chrysler, spiega, è stato rilanciato grazie a Chrysler stessa ma con l'aiuto della Fiat. «È chiaro che se questo lo si può fare in Usa - insiste - è possibile farlo anche qui in Italia». Ieri, dice Marchionne, «la gente ringraziava per quello che è stato fatto invece di insultare, io comunque non voglio essere ringraziato». Certo, qualche dato italiano sarà pure confortante come quello delle vendite a maggio ma «non si può parlare di effettivo turnaround». Il mercato non è sano, butta lì Marchionne, perché «il tubo degli incentivi si è svuotato, la domanda è arrivata a livelli naturali, 1 milione e 750mila-1 milione 800mila, i livelli del 1996: abbiamo smesso di drogare il sistema e abbiamo visto dove siamo arrivati».

«Il messaggio per l'Italia dall'accordo con il dipartimento del Tesoro Usa non può che essere positivo - gli fa eco il presidente di Fiat, John Elkann - la presenza Fiat in Italia non si ridimensionerà, anzi, ne uscirà rafforzata». Perché, aggiunge, investimenti come quello di Mirafiori «non si sarebbero potuti fare senza le prospettive dei mercati nei quali oggi riusciamo ad essere presenti». Quanto a Exor ha tutta l'intenzione, assicura Elkann, di rimanere il primo azionista di Fiat.

Nella foga delle dichiarazioni non manca neppure qualche difetto interpretativo come quando Marchionne in un ragionamento più generale sulla «corporate governance» dice «We have no intention to move headquarters…». Ma nessuna decisione è all'orizzonte rispetto alle tre teste del gruppo divise tra Italia, America e Brasile nonostante i cambiamenti a breve e l'estate che già si annuncia «molto impegnativa». Il «dilemma», come lo chiama Marchionne è semmai relativo alla corporate governance: «dobbiamo considerare - dice - che abbiamo un'entità negli Usa che produce più automobili di quante Fiat ne produce nel resto del mondo. Dobbiamo trovare una soluzione». Quanto alla fusione Fiat-Chrysler «non è una priorità quest'anno, così come il trasferimento del quartiere generale». E sulla sede legale del gruppo, Marchionne, ad ogni buon conto, precisa: «non è cambiato niente, il problema non è sulla mia scrivania». Perché oggi «la vera questione è lavorare sull'integrazione e la leadership».

In attesa della risposta canadese Marchionne spiega di avere sempre avuto la possibilità di acquistare l'intera quota del fondo Veba, gestito dal sindacato dei lavoratori Uaw. «Dal governo americano - precisa - abbiamo acquistato il diritto di comprare quella quota al valore ipotetico di 4,25 miliardi più il 9% di interessi e di tenerci tutto quello che va oltre quel valore nell'eventualità di una Ipo e di una vendita a rate. Se uno crede nel piano, come ci crediamo noi, nel medio-lungo termine la società vale molto di più di quello che vale adesso la posizione di Veba. E abbiamo acquistato quel diritto per evitare che ci fossero altri al tavolo». Marchionne aggiunge che «tutte le possibilità sono aperte, l'obiettivo è monetizzare la posizione di Veba, bisogna trovare un modo per dargli dei soldi. Sappiamo il massimo che possono ottenere che non riflette il valore della Chrysler oggi. Abbiamo comprato il 6% per 500 milioni, il 41% non vale 4,25 miliardi. Vale 3 miliardi e rotti per il momento».

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