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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2011 alle ore 08:38.

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BRUXELLES. Nicolas Sarkozy e Angela Merkel «terranno nei prossimi giorni importanti discorsi sull'Europa». Per quanto lo riguarda parlerà «con la manovra del 5 dicembre, che sarà ispirata a rigore, crescita, equità». E le pensioni saranno in primo piano, così da rispondere alle richieste che vengono da Bruxelles a riequilibrare la manovra, attraverso tagli strutturali alla spesa.

Mario Monti fa il punto sullo stato di avanzamento del dibattito sulla crisi dell'eurozona, in vista del decisivo appuntamento dell'8 e 9 dicembre. Vertice che definisce «decisivo per il destino dell'Unione europea». Sui veti dei sindacati sulle pensioni e sui distinguo che cominciano a emergere in sede politica, il presidente del Consiglio è quanto mai esplicito: sono in programma incontri con le forze politiche e le parti sociali, ma la linea è già sostanzialmente tracciata, anche sulle pensioni. «Rivolgerò un appello a tutti. Siamo in una situazione straordinariamente delicata. Sarà un appello al senso collettivo di responsabilità, perché se l'Italia manca questo passaggio fondamentale, vi saranno conseguenze molto gravi per tutti». In poche parole, «certe ritualità e tradizioni» ora passano in secondo piano. Dietro il Parlamento e le forze sociali vi sono i cittadini che sembrano apprezzare il lavoro che stiamo svolgendo al servizio del paese». I sondaggi? «Cercherò di seguirli il meno possibile, altrimenti mi farei illusioni non durature».

Nessuna cifra sulla manovra, se non «uno zero tondo», quello del pareggio di bilancio nel 2013 che Monti ha confermato ai colleghi dell'Eurogruppo. Totale condivisione delle osservazioni della Commissione europea, anche nel passaggio in cui si chiede al governo di intervenire per far fronte al peggioramento del deficit per effetto dell'ulteriore frenata del Pil. A conti fatti, 11 miliardi cui andrà aggiunto un «quid in più»: il pacchetto di riforme strutturali con impatto immediato sul deficit, dunque già a partire dal 2012. Ci si avvicina in tal modo ai 20 miliardi ipotizzati in questi giorni. «Agiremo con rapidità», assicura il premier. «Mi dicono che normalmente occorrono cinque o sei settimane per mettere a punto una manovra. Noi lo faremo in tempi molto ristretti».

Gli interventi a sostegno della crescita avranno un peso predominante: il precedente governo - spiega Monti - ha ben operato sul fronte del contenimento del deficit, ma ben poco è stato fatto per lo sviluppo. Le misure allo studio puntano a ridurre il disavanzo «già nel breve termine». In tal modo, si garantirebbero gli obiettivi di finanza pubblica anche se la frenata del Pil fosse ancor più consistente del previsto.

Per quel che riguarda il Fmi, Monti torna a ribadire che da parte del governo italiano non è giunta alcuna richiesta di aiuto finanziario. «Ho appena incontrato il nuovo direttore del Dipartimento per l'Europa, Raghuram Rajan, e con lui abbiamo definito le modalità del monitoraggio già stabilito per l'Italia». Non si è discusso nemmeno della modifica della mission della Bce come prestatore di ultima istanza sul modello della Fed. La realtà è che non si hanno ancora le idee chiare sui ruoli da attribuire al fondo salva stati, alla stessa Bce e al Fmi.

«Le reazioni al nostro programma sono state molto positive e in particolare è stata rilevata la rinnovata forte credibilità del governo italiano». L'Europa - spiega - si cura soprattutto degli interessi di lungo periodo dei singoli Stati membri. «Ho esortato i miei colleghi ad avere un linguaggio franco e aperto sull'Europa, che non ha bisogno di essere imbrattata sul piano della comunicazione da politici nazionali che trovano comodo dare la responsabilità ad altri». La modifica dei Trattati è sul tappeto, Monti la valuta con interesse, ma prima di tutto sarebbe opportuno che si applicassero le riforme «già avviate e mai applicate», in particolare sulla disciplina di bilancio e sul «six pack».

I mercati del resto non vanno «presi come divinità» ma «rappresentano la percezione collettiva su quello che fanno i singoli paesi». Il 10 dicembre, il giorno dopo l'eurosummit, «avremo la percezione sulla bontà di quello che avremo fatto o meno».

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