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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2011 alle ore 16:58.

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Le organizzazioni impegnate a migliorare il proprio ambiente lavorativo si stanno rendendo conto che per aumentare l'orgoglio e il senso di attaccamento alla propria azienda è sempre più necessario provare ad agire da "buon cittadino". Il termine mutuato dall'inglese "good citizen" sottolinea l'idea che l'azienda si debba comportare esattamente come un cittadino responsabile: faccia la raccolta differenziata, elimini gli sprechi, non utilizzi troppa carta, valuti le soluzioni di approvvigionamento energetico in linea con le nuove tecnologie meno inquinanti, rispetti le diversità, tuteli e valorizzi le persone.

In termini più generali le aziende, soprattutto le realtà multinazionali, si stanno organizzando in modo tale da gestire le politiche di sostenibilità aziendale anche trasferendo ai propri dipendenti sensibilità ed expertise per attuare politiche concrete di supporto all'ambiente, alle comunità locali e, in generale, al benessere della collettività.

L'effetto di tale trasferimento nei confronti dei dipendenti non è quindi solo legato al miglioramento delle performance ambientali o sociali misurate in tonnellate di CO2 risparmiate o in riduzioni del consumo energetico. Il più sottile e meno noto effetto è quello di aumentare l'attaccamento all'impresa. Il lavoratore si sente così più coinvolto nella vita aziendale perché, oltre a lavorare, sente di fare qualcosa di "giusto" per sé, per l'azienda e per il futuro; d'altra parte si è riscontrato che in organizzazioni che hanno avuto problemi di reputazione ambientale o sociale i collaboratori hanno subito un calo del senso di appartenenza dovuto al parziale senso di colpa.

Questo approccio è riscontrabile anche nelle decisioni d'acquisto dei lavoratori/cittadini. Sono ormai molte le ricerche, non solo accademiche ma promosse dalla stessa grande distribuzione, che dimostrano come ormai il 50% dei loro clienti reputi importante verificare la sostenibilità dei prodotti: qualità, rispetto dell'ambiente e della società. Anche in questo caso possiamo notare come lavoratore, cittadino e consumatore si confondano e si intersechino nei comportamenti e, come per il concetto di lavoro e vita privata, forse non è più il caso di parlare di ruoli diversi, tempi diversi e diritti e doveri diversi.

Rimane un dubbio: come fa il lavoratore/cittadino/consumatore a scegliere prodotti e servizi sostenibili? Qui gli vengono in aiuto molte locuzioni ed etichette dal "bio" al "no emission" al "free" allegato a qualsiasi cosa possa non piacere e "green" collegato a qualunque attributo considerato buono. Inoltre abbiamo a disposizione una serie di certificazioni. Il problema è: quante persone conoscono sigle come OHSAS 18001, SA8000, Altromercato, ISO 14001, EMAS, Fairtrade, PRO-Green? Inoltre tutte queste sigle certificano, in alcuni casi vendono, le caratteristiche di un prodotto e non di un'azienda.

Per ovviare a tutto ciò Great place to work institute insieme a Vera srl e Alessandro Zollo, ad della società Rewords, hanno pensato a un metodo per rendere note quelle aziende che fanno della sostenibilità la propria caratteristica distintiva sia internamente che esternamente; rewords®, responsible workplace developing sustainability, è uno strumento innovativo di analisi delle politiche di sostenibilità aziendali basato su un solido apporto accademico e una metodologia utilizzata da 25 anni in tutto il mondo. Si tratta di un nuovo modello di indagine che vede coinvolte tutte le funzioni aziendali di un'organizzazione e gli stakeholder di riferimento per conoscere il grado di soddisfazione e di efficacia delle politiche di sostenibilità adottate. Analizza sia le percezioni interne che esterne all'azienda e valuta i processi industriali ed etico-decisionali. I risultati vengono poi sottoposti alla valutazione di autorevoli organizzazioni indipendenti e costituiscono la base per l'indice di sostenibilità che sarà pubblicato nel 2011 con le stesse logiche della lista di Great place to work.

(R.Sp.)

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