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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2011 alle ore 09:38.

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Nella partita dell'economia tra Italia e Germania stravincono i panzer(Foto LaPresse)Nella partita dell'economia tra Italia e Germania stravincono i panzer(Foto LaPresse)

di Attilio Geroni
D'accordo, le classifiche avranno stufato, soprattutto quando dipingono un'Italia poco competitiva, cosa che accade puntualmente da troppo tempo. Si potranno giustamente contestare criteri e metodologia, inorridire di fronte ad accostamenti iconoclasti (il nostro Paese stretto tra Filippine e Perù e sopravanzato dal Kazakhstan!), ma allora invertiamo l'onere della prova e delle possibili contestazioni.

E parliamo di come è messa la Germania nell'ultima classifica sulla competitività dei Paesi elaborata dall'IMD, la madre di tutti i benchmark internazionali. Non ci soffermeremo sul primo arrivato (Hong Kong) e tantomeno sul secondo (gli Stati Uniti). Risparmiamo il terzetto di coda (a salire Croazia, Ucraina e Grecia) e concentriamoci invece sul raffronto con i nostri due principali partner economici, quindi anche con la Francia.
Mentre l'Italia perde due posti ed è 42esima su 59, la Germania è decima e ne guadagna sei rispetto all'edizione del 2010.

La classifica dell'International Institute for Management Development (IMD) di Losanna – che è una delle più prestigiose business school al mondo, a sua volta sempre in testa, o poco giù di lì, nelle classifiche internazionali sulla qualità dell'insegnamento – prende in esame la performance economica di una nazione, l'efficienza del settore privato e di quello pubblico e la qualità delle sue infrastrutture. Uno strumento che le grandi, medie e piccole multinazionali utilizzano per soppesare le decisioni d'investimento e che i governi non disdegnano di considerare quando devono ottimizzare la spesa pubblica.

La posizione della Germania non è incoerente con quanto l'economia ha fatto vedere negli ultimi anni (a partire dal 2006, ma con l'intervallo del biennio terribile 2008-2009) e probabilmente farà vedere anche nel 2011 in termini di crescita, calo della disoccupazione e aumento della produttività. Un nuovo Wirtschaftswunder, miracolo economico, trainato ovviamente dalle esportazioni, ma anche dal risveglio della domanda interna e degli investimenti dopo un letargo quasi ventennale.

È il frutto di un lavoro riformista che parte da lontano, almeno dalla fine degli anni Novanta, e che si è manifestato in tutta la sua spettacolarità una volta metabolizzata la riunificazione. Libera di correre, la locomotiva tedesca ha agganciato la domanda dei Brics portandosi dietro un pezzo d'Europa. La classifica 2011 dell'IMD riconosce la bontà qualitativa di questo percorso, dove si incontra, tra le altre cose, un mercato del lavoro che a fronte di costi tra i più alti al mondo si è trasformato in un laboratorio di flessibilità. Ecco il 10° posto.

Nelle varie sottocategorie che compongono l'indice, l'Italia è al 51esimo posto per efficienza del settore pubblico (al 48° per efficienza del settore privato, un gradino sotto la Francia), al 30° per la qualità delle infrastrutture e al 33° in termini di performance economica, quest'ultima intesa come insieme di cinque elementi: andamento dell'economia interna, del commercio internazionale, degli investimenti esteri, dell'occupazione e del livello dei prezzi di beni e servizi.

Nel profilo Paese dedicato all'Italia si raccomanda una liberalizzazione dei servizi pubblici, del commercio e delle professioni; un'intensificazione della lotta all'evasione fiscale; tagli alla spesa pubblica, ma aumento degli investimenti in Ricerca & Sviluppo e infrastrutture; una riduzione dei costi amministrativi per le imprese. L'Italia si ritrova in classifica allo stesso posto che occupava nel 2007.

Una mancanza di dinamica che caratterizza anche la Francia, alla quale non è ovviamente bastato l'impulso riformista di Sarkozy, forse troppo recente per fare sentire i suoi effetti sulla capacità competitiva del sistema Paese.

I fattori di maggior attrattività sono le infrastrutture e l'alto livello dell'educazione, mentre per l'Italia sono la presenza di manodopera qualificata e la competenza dei manager. In Germania già al terzo posto c'è un fattore che negli ultimi anni ha compiuto passi da gigante, ed è «l'alta produttività della forza lavoro».
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