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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2010 alle ore 17:30.
Ma qualcuno si è chiesto da chi fosse costituito il gruppo variopinto di tifosi con bandiere e sciarpe rosso-blu che ha sostenuto la Corea del Nord contro il Brasile nella gara di ieri sera? Beh, dato che mediamente i coreani del Nord non possono spostarsi agevolmente dal loro paese - per motivi politici ma anche economici - ecco pronto il soccorso della Cina allo stato amico. I supporters - scrive la stampa del paese del Dragone - erano infatti attori cinesi arruolati per l'occasione da Pechino su richiesta della Commissione Sport di Pyongyang. Peccato perchè, se ci fossero stati dei veri tifosi, avrebbero visto una partita più che dignitosa della loro nazionale, 34 anni dopo la leggendaria squadra che battè persino l'Italia e raggiunse i quarti di finale del mondiale inglese del '66.
Di fronte al Brasile, eterno favorito di ogni mondiale, i coreani del Nord hanno disputato una partita umile, operaia, ma ben organizzata e piena di orgoglio ed impegno, suggellata dalla rete del difensore Ji Yun Nam, un nome che gli amanti del calcio di Corea ricorderanno per molto tempo. Non capita infatti tutti i giorni che un calciatore-soldato di 34 anni, arruolato nella squadra "25 aprile", la squadra dell'esercito di Pyongyang (come le vecchie Dinamo e Stella Rossa dei paesi comunisti) faccia un gol al celebratissimo portiere dell'Inter campione d'Europa Julio Cesar. Peccato ancora che il gol sia stato trasmesso - come tutta la partita - in differita in patria, dato che in Nord Corea vige il controllo assoluto di ogni immagine televisiva e anche con lo sport non si può mai sapere (tra l'altro, neanche a parlarne, c'è una guerra in corso per i diritti televisivi con la Corea del Sud, che accusa il Nord di piratare il segnale).
Una squadra, quella di Pyongyang, che non è più quella fatta in casa del dentista fasullo Pak Doo Ik (era invece anch'egli un militare) e può vantare anche giocatori che militano in campionati esteri, come l'attaccante Jong Tae-Se, il centrocampista An Young Hak e il capitano Hong Young-Jo. Tutti e tre sono di origine nordcoreana ma giapponesi di nascita e vengono considerati un po' come i tre fuoriclasse "stranieri" (se così si può dire) del gruppo. Il primo è quel ragazzone pelato che ha cantato piangendo l'inno nazionale nel prepartita, che ha battagliato per tutta la gara e che nelle poche dichiarazioni rilasciate ha fatto pubblica professione di amor di patria. È chiamato il Rooney dell'Asia (ma lui gentilmente rimanda al mittente l'apellativo), gioca nel Kawasaki, nella J-League giapponese, ed è uno dei leader morali del gruppo. Stessa sorte - campionato giapponese su sponda Omiya - per An, mentre il capitano Hong gioca addirittura in Russia, nel Rostov. Questi calciatori e i loro compagni - dopo aver battuto la concorrenza nelle qualificazioni di Bahrain, Arabia Saudita, Iran e Uzbekistan e aver ben esordito in Sudafrica - ora tenteranno l'impresa disperata di reggere l'urto di Portogallo e Costa d'Avorio. Con un occhio ben aperto, però, a non sfigurare rispetto ai cugini più blasonati della Corea del Sud.