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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2010 alle ore 20:44.
A casa sua, a Città del Guatemala, fa il ricercatore scientifico. Un topo di laboratorio, insomma. Deve essersi in fondo sentito a suo agio in una partita nella quale in campo c'erano consulenti di investimento, rappresentati di articoli sportivi, laureati in economia e commercio o in scienze politiche, impiegati di banca. Gente che lavora, insomma, con attrezzi diversi da un pallone. Come lui. Non era però un torneo aziendale, ma un mondiale. E dall'altra parte del campo addirittura quelli che avrà visto mille volte negli spot in tv con la Coppa in mano. Allora magari ci ha pensato, anche solo per un istante, Carlos Batres quando ha visto cadere in area De Rossi come fulminato, ma in realtà appena accarezzato da Tommy Smith, un ragazzone di vent'anni che è emigrato in Inghilterra per provare a far sul serio con il calcio. Il nostro Carlos ha messo in fischietto in bocca e ci ha soffiato dentro con forza.
Pochi decimi di secondo dopo un popolo intero all'altro capo del mondo pure soffiava: sollievo. Per santificare la sua decisione il signor Batres, addirittura frugava nel taschino facendone emergere un cartellino giallo. Difficile dire come sarebbe finita senza quel fischio, ma in fondo anche poco interessante. I neozelandesi con grande classe accettavano senza fare una piega. Avessero dato un rigore così in una qualunque partita di campionato nel paese che ha preso e portato a casa, sarebbe stato un fiorire di croci e pali alzati al canto di mille moviole. Ma così va bene, e che cavolo, siamo l'Italia e abbiamo già i nostri problemi. Qui in tempo reale avrebbero frugato nella sua vita, avrebbero evidenziato che è un po' troppo rotondetto per i i suoi 42 anni e che per quel motivo è stato rimandato a casa un anno fa dalla Confederation Cup, con una formula un po' più elegante: «non ha superato i test atletici». Qualche soubrette da salotto televisivo non avrebbe mancato di evidenziare come quei baffi lo invecchiano e che, suvvia, non è proprio l'uomo dei sogni. Intanto per noi è l'uomo che i sogni li ha tenuti in vita con un fischio.
Oggi qui è comunque il giorno dei pali e delle croci, perché funziona così nel calcio, in politica, al Festival di Sanremo: senti l'olio friggere nelle padelle e tutti avrebbero voglia di buttarci dentro Lippi e tutti quelli lì che con i soldi che guadagnano dovrebbero vincere 10-0 con tutte le Nuova Zelanda di questo mondo. È l'insalata di demagogia che accompagna il fritto. Il fatto è che questo è il mondiale dell'ingorgo, della fila al casello per ritirare il biglietto per la seconda fase: tutti avanzano un metro alla volta con poche certezze ed ancor meno energie. Ne hanno di più le squadre con giocatori un po' meno spremuti da campionati di confine o da tanta panchina. Tutti ormai sanno correre e andare a coprire i buchi. Nella seconda fase, per chi ci arriva, sarà un'altra cosa: perché per giocare a calcio, come per fare l'amore con soddisfazione, bisogna aver voglia in due. Altrimenti è così, mucchio selvaggio in partita e coda al casello in classifica. Lo dimostra il fatto che le uniche squadre provviste di telepass siano quelle con qualche campione in campo. Vuoi mettere avere Messi, Tevez e Higuain, o Maicon che ti inventa uno sparo nel buio proprio come quello del suo compagno di maglia Snejider.