Mondiali di calcio Sudafrica 2010

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Editoriale: quello che l'Italia deve imparare

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2010 alle ore 23:58.

Onore alla Spagna per la prima volta campione del mondo e con pieno merito, come con pieno merito era diventata due anni fa campione d'Europa, quando sulla sua strada aveva incontrato anche l'Italia di Donadoni, eliminata soltanto ai calci di rigore.

La forza del gioco, la grandezza degli interpreti, la classe dei suoi solisti, su tutti Andres Iniesta; la formidabile bravura di Vicente Del Bosque, un uomo tranquillo, mai arrogante e mai presuntuoso, uno che non pretende di spiegarti come va il mondo e come va il calcio, ma del calcio è diventato il signore assoluto: così la Spagna è entrata nella storia, imponendosi sull'Olanda, splendida incompiuta del calcio mondiale, per la terza volta perseguitata dalla maledizione della finale che non vince mai (2010, 1978, 1974).

La lezione che viene da Johannesburg è una lezione da mandare a memoria per chi ha perso e l'Italia all'anno zero nel calcio  deve essere fra i primi Paesi a farlo. E' una lezione di coraggio, di fiducia nei giovani, nella classe, nel talento, nella fantasia. E' esattamente l'opposto di ciò che ha mostrato al mondo la nazionale di Lippi, giustamente buttata fuori nella fase a gironi, anche perchè, se fosse andata avanti e avesse incontrato o la Spagna o l'Olanda sarebbe stata fatta a pezzi ancora più di quanto non lo sia stata dalla Slovacchia. Sette giocatori del Barcellona (compreso il neoacquisto David Villa) compongono il nucleo di ferro dei neocampioni del mondo, ma ce ne sono anche cinque del Real Madrid, per formare il blocco granitico che adesso sta lassù.

E' una Spagna che, anche quando non vinceva nulla in campo internazionale, ha creduto nella cantera, cioè nel vivaio, nella valorizzazione dei suoi ragazzi e non ha mai fatto la guerra agli extracomunitari, non ne ha dimezzato improvvisamente la quota, ha creduto nella straordinaria potenza del gioco. E' una Spagna che coniuga la qualità della sua manovra all'impressionante velocità di esecuzione dei suoi schemi. E' una Spagna sostenuta dal tifo di una nazione intera che, nel nome del calcio, ha riscoperto la sua unità proprio nel momento in cui le spinte autononomiste hanno riacquistato un'improvvisa accelerazione.

E' una Spagna che merita di stare dove sta. Sperando che fra quattro anni, in Brasile, la nuova Italia di Prandelli riesca a spodestarla. C'è un lavoro immenso da fare, ma c'era un tempo in cui anche le Furie Rosse belavano. Ora ruggiscono. Nulla è impossibile.

di Xavier Jacobelli
Direttore www.quotidiano.net

di Xavier Jacobelli
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