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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2011 alle ore 06:37.

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Trichet alza il costo del denaro all'1,25 per cento. Dalla Bce agli emergenti la risalita dei tassiTrichet alza il costo del denaro all'1,25 per cento. Dalla Bce agli emergenti la risalita dei tassi

Il vero obiettivo di Trichet
E allora perché la mossa? «Trichet sta anticipando i tempi - ha risposto Pierpaolo Benigno sul Sole24ore -. Vuole riprendersi lo strumento di politica monetaria, il tasso d'interesse, quando un domani gli servirà veramente. Il controllo della politica monetaria si è perso: la Bce si trova in una trappola della liquidità all'incontrario, dove non è proprio opportuno alzare i tassi», a causa del fatto che le banche non immettono il fiume di denaro nell'economia reale. E tuttavia, Trichet vuole «mettere in luce il problema delle banche e dei governi», ponendoli nella «scomoda condizione di trovare una soluzione». «In effetti, da quando Trichet ha annunciato il rialzo dei tassi, la crisi dei debiti sovrani si è acuita in Grecia e Irlanda fino a comprendere ora il Portogallo». Questo è il vero obiettovo di Eurotower, più che l'inflazione.

La lunga risalita dei tassi
Ciò detto, la distanza tra il mondo occidentale, dove il costo del denaro viaggia sull'1% , e i paesi emergenti, dove i tassi a breve sono anche oltre il 10%, resta - come ha già sottolineato il sole24ore- molto grande. Da una parte il mondo industrializzato colpito dalla crisi; dall'altra le nuove economie che crescono in media oltre il 6% l'anno. Due mondi, due velocità; e, giocoforza, diverse politiche monetarie. Che potrebbero, però, avvicinarsi. Almeno un po'.

Fuori dal mondo occidentale, comunque, l"ondata" di rialzi è continua: dal Brasile (tassi all'11,75% dal precedente 11,25%) alla Russia (balzo all'8%); dalla Colombia (stretta dello 0,25%) alla Corea del Sud (dal 2,75 al 3%) fino alla più recente Cina (6,31%).

La divergenza tra Occidente e Oriente rimane
Insomma, una lunga marcia dei tassi. Dalla primavera dello scorso anno, nell'universo degli emerging, è scattata una graduale stretta monetaria, che vale l'incremento medio di 80 punti base. Un trend che, nonostante il ritocco di oggi della Bce, non permette l'avvicinarsi tra il costo del denaro in Occidente e paesi in via di sviluppo. Il differenziale tra la crescita economica e l'inflazione è ancora troppo elevato.

La finanza globalizzata
Due mondi differenti, quindi, ma interconnessi dai commerci e dalla finanza globalizzata. La liquidità immessa nei mercati, soprattutto dalla Fed, si sposta attraverso infiniti prodotti finanziari e mille piattaforme di trading, in un immenso sistema di vasi comunicanti. Va a caccia di maggiore remunerazione, trovandola per l'appunto laddove crescita e tassi sono maggiori.

Secondo l'Institute of international finance, i soli flussi netti di capitali privati verso gli emerging market dovrebbero sfiorare nel 2011 il triliardo di dollari (960 miliardi), per poi superarlo nel 2012. Una piccola parte della liquidità globale che, unita alla "corsa" economica, già di per sé è in grado di surriscaldare queste economie. Ma che diventa insostenibile se le si aggiunge il caro-materie prime. Il Brent oltre i 120 dollari e il boom delle derrate alimentari (il Fao food index ha toccato in febbraio i massimi dal 1990) fanno impazzire i prezzi al consumo. Con il che le banche centrali di quegli stati si trovano a un bivio: o alzano i saggi d'interesse, favorendo così l'apprezzamento della moneta, oppure accettano il rischio di iper-inflazione. Nel primo caso danneggiano le loro esportazioni, spesso essenziali; nel secondo, rendono instabile l'economia.

È la disfida dei tassi che caratterizza queste aree. Una "tenzone" che, però, è più articolata di quanto si pensa. I governi sfruttano diverse strategie, non solo la politica monetaria. Vengono introdotte barriere ai capitali transfrontalieri: il Brasile, per esempio, impone una tassa del 6% per le transazioni estere sui bond governativi. Cui si aggiungono politiche restrittive nel credito, come in Cina, dove si chiede alle banche di accantonare sempre più riserve a fronte dell'aumentare dei prestiti.

Insomma, è battaglia tra Occidente e resto del mondo? Il tema è più complesso. Si parla sempre di dollaro contro renminbi cinese. Certo, gli attriti esistono. Ma i contrasti esistono tra gli emerging stessi: la Corea del Sud interviene spesso contro l'apprezzamento del won sulla divisa di Pechino, per non svantaggiare l'export sul continente asiatico. Una partita che, alla fine, si gioca a tutto campo. E nella quale i giocatori dovranno fare i conti con il (presunto) avvio della exit-strategy da parte delle banche centrali Occidentali. Sempre, ovviamente, non compaia l'ennesimo cigno nero.

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