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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2011 alle ore 13:49.

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Barack Obama è riuscito nell'impresa clamorosamente mancata da George W. Bush: uccidere Osama Bin Laden, l'organizzatore degli attacchi dell'11 settembre. Obama c'è riuscito grazie a un'operazione coperta delle Forze speciali dell'esercito americano, coordinate dal Joint Special Operations Command, il comando unitario ricreato, potenziato e adattato a scopo antiterrorismo da Bush.

L'Amministrazione americana ha agito sulla base di una pista investigativa scoperta grazia alla cattura in Iraq nel 2004 di un militante di Al Qaeda, Hassan Ghul, poi trasportato in un prigione segreta della Cia in Polonia con una extraordinary rendition. Interrogato chissà come, Ghul ha fatto il nome (in realtà lo pseudonimo) di un messaggero di Bin Laden, Abu Al Kuwaiti, un amico di Khalid Sheik Mohammed e di Faraj al-Libi, già detenuti a Guantanamo.

La conferma che la pista fosse giusta è arrivata dagli interrogatori a Guantanamo di Khalid Sheik Mohammed e Faraj al-Libi. Khalid Sheik Mohammed, l'anno precedente, aveva iniziato a collaborare con gli americani dopo essere stato uno dei tre soli detenuti di Guantanamo sottoposti alla feroce tecnica di interrogatorio che simula l'annegamento (waterbording), mai più utilizzata dopo il 2003. La Cia, grazie ad altri interrogatori e alle proprie analisi, è riuscita a individuare il vero nome del messaggero di Bin Laden segnalato dal terrorista catturato in Iraq e confermato dai detenuti di Guantanamo. Il messaggero di Bin Laden si chiamava Sheik Abu Ahmed. Successivamente, grazie al programma di intercettazioni internazionali della National Security Agency (quello svelato dal New York Times con un scoop particolarmente criticato dai bushiani), i servizi americani hanno localizzato il sodale di Bin Laden e da lì a poco sono arrivati al compound di Abbottabad dove si rifugiava il boss terrorista. Una volta individuato Bin Laden, il presidente ha autorizzato un'incursione militare in Pakistan senza alcuna autorizzazione internazionale o nazionale.

Obama, insomma, per arrivare a Osama si è servito della guerra in Iraq, delle rendition, delle prigioni segrete della Cia, delle tecniche intensificate di interrogatorio, di Guantanamo, del programma segreto di intercettazioni estere della National Security Agency e dei super poteri da comandante in capo, ovvero di tutte le misure e di tutti gli strumenti messo in campo dall'Amministrazione Bush dopo l'11 settembre 2009.

L'architettura giuridica delle politiche antiterrorismo di Bush non è stata smantellata, malgrado Obama si sia candidato e sia stato eletto con la promessa di cambiare tutto quello che aveva fatto Bush. Nei primi due giorni alla Casa Bianca, Obama in effetti è sembrato voler esaudire quella promessa, annunciando la chiusura di Guantanamo, l'abolizione delle tecniche intensificate di interrogatorio e la cancellazione delle corti speciali militari per i detenuti della guerra al terrorismo.

Quasi tre anni dopo, Obama ha rinunciato sia a chiudere Guantanamo sia a processare i terroristi nelle corti ordinarie. Saranno processati a Guantanamo dalle corti speciali militari volute da Bush. Ma non tutti. Alcuni detenuti, i più pericolosi, resteranno in galera a vita e senza processo.

Le tecniche intensificate di interrogatorio sono state abolite, ma col tempo si è scoperto che Obama, oltre ad aver autorizzato l'uso delle famigerate rendition, ha anche tenuto nascosto per mesi su una nave militare un terrorista somalo, Ahmed Abulkadir Warsame. L'obiettivo era di interrogarlo per bene, senza le nuove regole restrittive imposte dal presidente. Gli obamiani hanno giustificato la detenzione segreta, e senza alcun diritto, con la Law of War. Una giustificazione che perfino Bush esitava di invocare in situazioni del genere.

In generale la politica antiterrorismo di Obama è concentrata sull'uccidere i terroristi in loco e dall'alto più che catturarli, portarli negli Stati Uniti e poi processarli. Anche perché Obama si è accorto che molti dei catturati non sono processabili, tanto da aver deciso che un buon gruppo di detenuti di Bush resterà in cella per sempre e senza accedere a nessuna corte. Da quando Obama è presidente, inoltre, sono stati intensificati i bombardamenti (in totale 229, con circa 1700 morti: fonte Long War Journal) con i droni, gli aerei senza pilota, prima sul Pakistan, ma poi anche sullo Yemen e sulla Somalia (i cui dati esclusi dai conteggi precedenti). Obama ha agito sempre senza alcuna autorizzazione internazionale, e nemmeno del Congresso americano, ma secondo i legali della Casa Bianca e del Dipartimento della Giustizia è sufficiente il potere costituzionale di comandante in capo e la generica autorizzazione a usare la forza conferita prima a Bush e poi a lui dal Congresso tre giorni dopo l'11 settembre del 2001.

Per meglio contrastare il terrorismo di Al Qaeda e similari, Obama si è valso anche del potere di ordinare l'uccisione di singoli nemici dell'America e, almeno in un caso, si è spinto fino a chiedere la morte di un cittadino americano, l'imam yemenita Anwar al Awlaki. Più in generale, Obama ha continuato le guerre di Bush, adottando anche la medesima strategia militare e politica elaborata dal suo predecessore. In Afghanistan ha triplicato il numero dei soldati che Bush aveva lasciato nel paese. In Libia è stato decisivo nella campagna militare per la sostituzione armata del regime di Muammar Gheddafi. Ora, secondo un'informazione riservata del Wall Street Journal, sta pensando di autorizzare le operazioni militari coperte delle sue Forze Speciali anche contro l'Iran, per contenere le attività di Teheran nella regione e in particolare in Iraq.

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