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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2012 alle ore 18:37.

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Avevate dei dubbi? Bene, toglieteveli. Tris doveva essere, e tris è stato. Mark Cavendish, il campione del mondo, il re degli gli sprinter, s'impone anche a Cervere, in un traguardo lungo e diritto come vuole lui. Il bello è che stava anche perdendo, per un suo svarione, ma stava perdendo chiuso nell'imbuto degli altri sprinter. Ma Cavendish è così forte che può anche permettersi di sbagliare. Poi trovare il varco. E poi ripartire. E poi vincere su Kristoff, Renshaw e il nostro Sacha Modolo, migliore degli italiani.

Troppo forte, troppo bravo, troppo superiore. Non è simpatico, anzi è piuttosto arrogante, il baronetto inglese: ma trovateci un velocista che abbia un bel carattere. Cipollini, che ultimamente fa le pulci a tutti, era ed è un campione anche di strafottenza. I campioni sono campioni proprio perché vogliono emergere. Diciamo che hanno un ego piuttosto ingombrante. Figuriamoci in queste bolge dove si lotta gomito a gomito. Non siamo a una sfilata di moda. Chi dà la precedenza, qui cambia mestiere.

Quindi tanto di cappello a Cavendish che ha promesso di non ritirarsi, e arrivare fino al Duomo di Milano, anche se le salite, come è noto, non sono la sua passione. Ma di nuovo: trovateci un velocista che ami le montagne. Cipollini, che fa il Beppe Grillo dei ciclisti, quando le vedeva all'orizzonte sterzava subito verso il mare, a mostrare le chiappe chiare a Forte dei Marmi, dove aveva già il capanno prenotato. Ma a proposito di salite, con la tappa di Cervinia (due salite interminabili di quasi 70 km), finalmente le montagne arrivano. E finalmente, volenti o nolenti, si dovrà dar battaglia. E arrivare al dunque senza il solito tormentone ("….aspettiamo l'ultima settimana…") che quasi tutti i big o semi big ci propinano dall'inizio del Giro.

Sia chiaro: se lo dice Ivan Basso, ne ha tutte le ragioni. Lui fa il suo mestiere, che è quello di controllare la corsa. E' il leader, il candidato naturale alla maglia rosa. E le montagne sono il suo pane quotidiano, il suo alleato preferito. E lo stesso si può dire per il suo rivale Michele Scarponi, vincitore dell'edizione 2011 per la nota squalifica di Contador. Detto questo, però che noia. Che barba che noia, come diceva Sandra Mondaini. Se togliamo il finale di Assisi, dove Joaquin Purito Rodriguez ha piazzato l'affondo, tutto il resto è noia. Si, d'accordo, le volate sono emozionanti. Ma durano un attimo. Non fai a tempo a gustarle, che sono già finite. Ti resta quell'appetito che solo le grandi salite, sono in grado di soddisfare. Ma finora siamo sempre agli antipasti.

Tra i big, si salva appunto Rodriguez, che perlomeno ci ha messo la faccia. Ci ha provato. E infatti ha vinto la tappa più bella e porta la maglia rosa. E può anche darsi, ma è difficile, che la tenga fino a Milano. Ma gli altri? Si nascondono tutti in un fazzoletto di secondi. Lasciando perdere Damiano Cunego, che promette sempre di inventarsi qualcosa il giorno dopo, meno male che c'è Domenico Pozzovivo, la pulce lucana che prevede il tempo come il colonnello Giuliacci e suona il piano come quelli che vanno alla Corrida. Pozzovivo ha il merito d' aver dato un segnale vincendo con un guizzo secco la tappa di Laceno. Ha fatto anche capire che, d'ora in avanti, può dire la sua. Ha 29 anni, sa leggere la corsa, e muovere rapporti che altri si sognano. Insomma, può inserirsi nel gioco. Finora, e non è poco, ha spezzato questo catenaccio permanente. Chissà che non diventi un terzo incomodo in un Giro che, si spera, diventi completamente diverso da quello che abbiamo appena visto prima di farci appisolare.

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