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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2012 alle ore 17:33.
Un canadese, uno spagnolo e un belga… Sembra una barzelletta dove, alla fine, la spunta il solito italiano più furbo di tutti. Invece niente. In questo Giro d'Italia , questa volta terminato davvero qui a Milano, gli italiani devono farsi da parte.
Sul gradino più alto del podio spicca Ryeder Hesjedal, 31 anni , il gigante canadese su cui nessuno, alla partenza, avrebbe scommesso un centesimo. Non è un talento straordinario, non è il futuro del ciclismo, ma è quello che ha corso meglio di tutti. Punto.
Poi, un gradino sotto, lo spagnolo Joaquin Rodriguez. Per sedici secondi deve cedere la maglia rosa. Troppo forte il canadese a cronometro. E quel mezzo minuto che li separa prima del via non basta a proteggerlo. Si sfarina già nei primi undici chilometri. E dopo non c'è più storia. Al traguardo in Piazza Duomo, dopo 30 km, Rodriguez arriva senza speranze. Sa di aver perso, ma questo è il ciclismo, baby.
Sull'ultimo gradino del podio, ma comunque contento, c'è un altro straniero, Thomas De Gentd, il belga che allo Stelvio ha quasi fatto saltare il banco. Qui a Milano ottiene comunque il miglior tempo dei big. Una bella prova che gli permette di superare, in classifica, Michele Scarponi. Il toscano, scivolato al quarto posto, non la prende bene: "Speravo di stare sul podio. Lo speravo dalla partenza. Purtroppo la realtà è un'altra. Peccato…"
Peggio di Scarponi, Ivan Basso. Nella crono perde quasi un minuto, ma ormai per lui il Giro è chiuso con un quinto posto che equivale a una pesante sconfitta. Serenamente lo ammette. Ma ora dovrà domandarsi che cosa fare da grande. A 34 anni e mezzo, un bilancio si impone. Da capitano della Liquigas, può diventare un supporto di lusso per Vincenzo Nibali al prossimo Tour de France.
Torniamo a Milano. Una Milano, chiusa alle auto, che rende omaggio a questo strano Giro sempre più globalizzato. Un Giro partito dalla Danimarca e terminato, per la prima volta nella storia della corsa, con la vittoria di un corridore canadese che vive in Spagna, a Girona, con una bella moglie americana di nome Ashley che, subito dopo il traguardo, lo ha abbracciato e baciato davanti alle telecamere di tutto il mondo.
Tanto mondo, ma poca Italia. Va bene allargare i confini, va bene uscire dal provincialismo: e questo è il bicchiere mezzo pieno. Quello mezzo vuoto, invece, è che il ciclismo italiano scivola indietro. Era dal 1995, dal Giro vinto da Tony Rominger, che non si prendeva una batosta così secca. In una edizione dove poi non ci sono campioni illustri come Alberto Contador, Cadle Evans e Andy Schleck.
A consolarci, ma solo parzialmente, la strepitosa cronometro di Marco Pinotti, l'ingegnere più veloce del suono. Da piazza Castello a piazza Duomo impiega poco più di 33 minuti a una media di oltre 51 km orari. Un exploit notevole che conferma il talento di Pinotti nelle prove contro il tempo.
Finisce un Giro d'Italia che non lascia una impronta memorabile nella storia della corsa rosa. Diciamo la verità: le foto da ricordare sono poche. La tappa di Laceno di Pozzovivo. Quella di Assisi di Rodriguez. La grande fuga di Rabottini a Pian dei Resinelli e quella altrettanto straordinaria di Thomas De Gentd sul Mortirolo e sullo Stelvio. Il resto, per quanto appassionante soprattutto per l'incertezza, non ha bucato lo schermo. La paura ha prevalso quasi fino alla fine. Solo le ultime due tappe – Alpe di pampeano e Stelvio – hanno acceso la corsa. Ma proprio quando non se ne poteva fare a meno.
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