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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2012 alle ore 17:19.

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Poi, certo, ci dobbiamo preoccupare di mantenere certi equilibri tattici. Dobbiamo essere pratici. Cambierà poco se loro schiereranno o no una punta centrale. Ricercano il giocatore tra le linee e la profondità ma noi siamo cambiati. Dall'emergenza centrale tamponata da De Rossi siamo migliorati e cresciuti anche di condizione fisica e psicologica. Adesso siamo squadra. Se sei bravo a non farli ripartire cambia poco se ti schieri a tre, quattro o cinque».

Il figlio
In panchina, con Cesare, c'è Niccolò. Il suo ingresso nello staff tecnico ha suscitato polemiche di nepotismo, ma il ct, alza le spalle. «Non ho voglia di polemizzare: i sassolini nella scarpa mi hanno fatto male ma li tengo per me».

Il futuro
Prandelli è un uomo di campo e il campo gli manca, nella quotidianità. Tante voci si sono rincorse sulla volontà di chiudere qui l'avventura azzurra per tornare al più presto ad allenare un club. «Anche Buffon mi ha chiesto cosa sta succedendo. Mi ha fatto piacere. Sto facendo tante valutazioni sulla mia qualità della vita ma adesso non è il caso di creare turbamenti. Non voglio disturbare. Prendiamoci qualche giorno e poi rifletteremo a bocce ferme. Il mio rapporto con la Federazione è ottimo, nessuna condizione da dettare».

Le polemiche
Arrivano le bordate, prima a mezza bocca, poi più chiare e nette. «Siamo dei tecnici e nel momento in cui siamo coinvolti esprimiamo la nostra opinione ma c'è un limite che il nostro ruolo non ci consente di superare. Certo, ci sono considerazioni importanti da fare. In Germania ci sono 17 centri federali, in Italia uno solo. Bisogna investire di più sui tecnici federali ma la verità è che della Nazionale non interessa a nessuno durante l'anno. Diventiamo tutti paladini quando ci sono Europei o Mondiali ma poi da settembre basta. Diventa tutto più difficile. Siamo frenati perché mancano le strutture e ci sono molti interessi che vengono prima della Nazionale».

Balotelli e Cassano
Sono stati le sue scommesse. Già vinte, a prescindere da cosa succederà domenica sera. Antonio? «Mai pensato di lasciarlo fuori, nemmeno per un attimo. Abbiamo fatto una bella chiacchierata prima della gara con la Germania e sapevo che avrebbe fatto una grande partita da protagonista». Mario, un simbolo? «Il simbolo, l'unico vero simbolo, è la maglia azzurra. Il simbolo deve unire. Mario a tratti ha diviso e ora unisce. Il razzismo che lo ha coinvolto ora si stempera ma non è un problema risolto. Dobbiamo sempre mantenere la guardia alta. È un problema in tutta Europa, non solo per lui». E parlando di Balotelli, Prandelli ha parole di stima anche per Mancini «che, al Manchester City, lo fa crescere con i tempi e modi giusti». Ecco, Mancini…il cerchio si chiude. Ricordate quando annunciò di lasciare l'Inter dopo l'eliminazione in Champions col Liverpool , nel 2008? Ecco, Prandelli ci è andato vicino, ma lui, per fortuna, ha davanti qualcosa di molto importante che potrebbe fargli cambiare idea. Un trofeo da provare ad alzare al cielo.

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