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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2013 alle ore 13:20.

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Specchio del dramma che sta attraversando la società italiana è il mondo dell'edilizia, in una crisi tanto profonda da sottoporre al Governo e a Lei, signor Presidente, la richiesta di un intervento speciale di filiera, per salvare un volano fondamentale nell'economia del Paese.
La tenuta del tessuto sociale è messa a dura prova. Le unità di lavoro sono calate di 1,4 milioni. L'occupazione è diminuita pericolosamente, crollata tra i più giovani.
I disoccupati sfiorano i tre milioni.
A onor del vero non è tutta colpa della crisi.
Dal 1997 al 2007 il tasso di crescita dell'economia italiana è stato mediamente inferiore di circa un punto percentuale l'anno a quello dei paesi dell'area euro.
Questi pochi numeri bastano a rappresentare un quadro inquietante della situazione, per noi imprese, per le famiglie, per i nostri giovani.
L'obiettivo deve ora essere uno solo: tornare a crescere.
Per tornare a produrre più benessere l'Italia, deve fare leva sulla sua risorsa più importante : la vocazione industriale in tutte le sue declinazioni.
Il manifatturiero è il motore del nostro sistema, l'unico in grado di riattivare il resto dell'economia, perché acquista beni e servizi prodotti dagli altri settori.
Dall'industria viene il 17% del PIL, il doppio se consideriamo l'indotto,l'80% dell'export del Paese, la maggior parte degli investimenti in ricerca e innovazione e la creazione dei posti lavoro più qualificati e meglio retribuiti.
Di manifatturiero vivono otto milioni di famiglie. Questi numeri non si possono.
Domanda e competitività sono le due leve su cui agire per ritrovare la strada della crescita.
Serve una netta discontinuità con le logiche di breve respiro che hanno ispirato molte delle politiche del passato.
Le imprese sono pronte a rispondere e a supportare l'azione del Governo con investimenti e occupazione.
Confindustria da tempo insiste per misure concrete per l'aumento rapido del tasso di crescita e dell'occupazione.
Queste misure non sono a costo zero, ma a saldo zero. La differenza sta nel coraggio di applicarle.
Cioè di dare vita a una vera politica di qualità del bilancio pubblico, di ricomposizione delle entrate e delle uscite, in modo da promuovere la crescita senza intaccare la solidità del bilancio stesso, anzi, rafforzandola proprio grazie a una crescita più elevata.
Senza interventi decisi e concreti, la crescita del Paese non supererà per molto tempo lo 0,5% annuo, del tutto insufficiente a creare lavoro e a risollevare i destini di tantissime imprese.
Se questo sarà il Governo della crescita noi lo sosterremo con tutte le nostre forze. Della crescita e del lavoro. Perché la mancanza del lavoro è la madre di ogni male sociale.
Va affrontata in maniera strutturale e con equilibrio, intervenendo sul costo, sulla produttività e sulle regole.
Da Paese manifatturiero non possiamo permetterci la differenza di competitività rispetto ai nostri concorrenti.
In Italia da anni il costo del lavoro sale, in Germania scende.
Le nostre imprese pagano di più, i nostri lavoratori guadagnano di meno.
Il cuneo fiscale nel 2012 è stato oltre il 53% del costo del lavoro, tra i più elevati nell'area OCSE.
Questo vuol dire che più della metà di quello che le imprese pagano ai lavoratori va nelle casse dello Stato.
Bisogna ridurre questo cuneo, eliminando il costo del lavoro dalla base imponibile IRAP e tagliando di almeno 11 punti gli oneri sociali che gravano sulle imprese manifatturiere.
Il mercato del lavoro è troppo vischioso e inefficiente. Occorre garantire più flessibilità in ingresso e nell'età del pensionamento, per favorire il ricambio generazionale.
Su questi temi gli aggiustamenti marginali sono inutili, in qualche caso dannosi.
È positivo che il Governo abbia dichiarato di voler intervenire e prendere seriamente in considerazione le ragioni delle Parti Sociali.
Questo è il modo corretto per evitare che si ripetano situazioni analoghe al caso dei lavoratori "esodati".
L'Italia ha bisogno di modernità anche nelle relazioni industriali.
L'intesa che abbiamo raggiunto il 21 novembre scorso a Palazzo Chigi va in questa direzione, perché fissa con chiarezza due passaggi importanti per costruire un sistema nuovo : rappresentanza e valorizzazione della contrattazione aziendale per rafforzare la produttività.
Abbiamo firmato accordi con i Sindacati per valorizzare la contrattazione aziendale.

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