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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2013 alle ore 13:20.

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L'amministrazione della giustizia è la pietra angolare della società civile, l'ecosistema in cui le imprese operano e i diritti degli individui sono tutelati. Il suo funzionamento costituisce una delle condizioni necessarie per garantire il vivere ordinato, favorire il corretto sviluppo dell'economia di mercato e stimolare gli investimenti.
Cinque milioni di cause civili giacenti, oltre mille giorni per far valere un contratto davanti a un giudice, lo spaventoso numero di sette giudizi pendenti ogni 100 abitanti e un rating negativo sull'indipendenza e la qualità della giustizia, sono macigni sulla strada della ripresa.
Non possiamo negare che alcuni importanti passi avanti siano stati compiuti. Questi vanno difesi. Primo fra tutti il processo di revisione della geografia giudiziaria. È un risultato faticosamente raggiunto, una riforma dolorosa, ma necessaria. Non buttiamola alle ortiche, anche perché è l'unica via per avere tribunali meglio organizzati e magistrati più specializzati, quindi più produttivi.
Occorre decongestionare i tribunali e puntare con decisione sulle risoluzioni alternative.
Dobbiamo ripensare il principio dei tre gradi di giudizio per ogni tipo di causa e sostenere gli investimenti previsti sul processo digitale.
Il peso diretto o indiretto dello Stato e della Pubblica amministrazione sfiora il 60 % del valore del PIL nazionale.
Bisogna restituire alla libera iniziativa pezzi di Paese, liberarli da controlli impropri, spesso incompetenti.
Questo capitolo è stato appena sfiorato e poi messo da parte dai governi che si sono succeduti.
Le liberalizzazioni riducono le posizioni di rendita e aprono spazi per nuove iniziative imprenditoriali e nuova occupazione.
Il mercato liberalizzato aumenta la qualità e riduce i prezzi dei prodotti e dei servizi, a vantaggio di tutti.
Qualcuno ha scritto che non facciamo che lamentarci. Considerando le condizioni in cui siamo costretti a lavorare, se siamo ancora il secondo paese manifatturiero d'Europa, l'ottavo del mondo, forse lamentarci non è la nostra principale attività.
Contribuiamo per quasi il 18% al PIL, l'export della manifattura vale circa 500 miliardi di euro l'anno, le nostre imprese lottano su mercati sempre più difficili e reagiscono alle sfide con l'innovazione, guardano a nuovi clienti e studiano nuovi prodotti per nuovi consumatori.
Molte delle nostre imprese, le medie e piccole, le multinazionali tascabili, i campioni nazionali nascosti, non emergono nelle statistiche sull'innovazione e la ricerca, ma vi si applicano giorno dopo giorno con risultati straordinari sui mercati di tutto il mondo.

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