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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2013 alle ore 13:20.

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Nelle Regioni del Mezzogiorno le debolezze strutturali comuni a tutta la penisola si sommano a vecchi e nuovi ritardi.
Pare quasi vi sia un impegno perverso per mandare via i giovani migliori, le imprese più importanti, i turisti più interessati.
Solo la criminalità sembra perennemente capace di innovare il suo ricatto, nonostante i colpi ricevuti dalle forze dell'ordine, dalla magistratura e dalla coraggiosa rivolta di tanti imprenditori. Oggi li voglio onorare e ringraziare tutti.
Il 23 maggio del 1992 Giovanni Falcone, sua moglie, gli uomini della sua scorta venivano trucidati a Capaci. La sua biografia esemplare tra le altre cose ci dice che il riscatto del Mezzogiorno è realizzabile. Una sfida non solo nazionale, ma europea.
Il successo richiede l'efficace sinergia di una azione pubblica finalmente riqualificata e il protagonismo dei privati.
Dalla prima deve venire il miglioramento dei servizi pubblici, a partire dalla scuola, il presidio del territorio e della legalità.
Dal secondo una innovativa fase di industrializzazione del Mezzogiorno, che dopo la grande industria di Stato e quella a caccia di incentivi facili più che di mercati aperti, una forma moderna d'impresa vera, proiettata verso i mercati esteri, nella quale i giovani meridionali siano i protagonisti attivi, anche come nuovi imprenditori.
Se Atene piange, Sparta non ride.
Confermo oggi la mia analisi dello scorso anno. Contemporaneamente al rilancio del Mezzogiorno dobbiamo affrontare con decisione la questione settentrionale, la sua perdita di connessione con la dimensione europea e una crescente difficoltà di integrazione nel ristretto novero delle regioni industriali forti del nostro continente. Abbiamo conosciuto il nord Italia come una realtà in continuo movimento e crescita, ne abbiamo vissuto le metamorfosi del tessuto imprenditoriale, dalle grandi imprese alla nascita dei nuovi protagonisti: la media impresa, i distretti, le reti di oggi, fino al quarto capitalismo. Ne abbiamo condiviso i processi di evoluzione, dalla terziarizzazione, alle riconversioni territoriali, ai nuovi circuiti finanziari, alle competenze mobilitate dall'economia della conoscenza.
Ora il motore di questo straordinario modello economico e produttivo batte in testa e manda chiari segnali di allarme che non possiamo lasciar cadere inascoltati, se si vuole che il nostro Paese, tutto, abbia un futuro.
Per ritornare al nord trainante le vie sono quelle che abbiamo detto: credito, fisco, giustizia, semplificazione, infrastrutture, uno stato amico, cioè un ambiente in cui l'impresa può crescere senza ostacoli e competere ad armi pari con i concorrenti.

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