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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2010 alle ore 17:12.

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In questo momento stai leggendo. I tuoi occhi si muovono con precisione tra i segni mettendo a fuoco, probabilmente, quattro o cinque parole al secondo. E questo è possibile perché il cervello compie una quantità incredibile di operazioni in pochissimo tempo.
Come è possibile? Come funziona? E soprattutto: come possiamo migliorare in questa attività?
I libri, i giornali, gli iPad hanno messo a disposizione del cervello umano una straordinaria quantità di memoria in più rispetto all'epoca, già ricchissima, della tradizione orale.

L'accesso a quella memoria dipende dall'interfaccia che usiamo. L'assorbimento e l'elaborazione di quanto è depositato in quella memoria dipende dall'efficienza del cervello. La scrittura è nata circa 5.400 anni fa. E l'alfabeto fonetico ha 3.800 anni. In questo brevissimo tempo, sulla scala dell'evoluzione della specie, l'umanità ha sviluppato capacità cerebrali straordinarie, senza particolari mutazioni genetiche, ma soltanto per via culturale.

L'educazione, l'istruzione, l'apprendimento e la coltivazione della capacità di leggere, sono in effetti diventate un'attività istituzionale fondamentale delle civiltà e consentono di insegnare ai bambini questa complessa gestione della memoria scritta. Ma i contesti storici cambiano, i tempi della lettura si riducono e nuovi strumenti per trasmettere i testi si rendono disponibili. Ebbene: è possibile che le nuove tecnologie per la lettura migliorino le prestazioni del cervello che legge? L'unico modo per saperlo è studiare e sperimentare.

Lettura e attività cerebrale. Docente di Psicologia cognitiva sperimentale al Collège de France, Stanislas Dehaene ha condotto vaste ricerche sull'attività cerebrale che consente la lettura. E ha divulgato le scoperte della scienza cognitiva in materia nel suo libro «I neuroni della lettura» (Raffaello Cortina Editore, 2009, 448 pagine, 32 euro; v.o. «Les neurones de la lecture», 2007). Il suo discorso parte proprio dalla constatazione che è mancato il tempo perché l'evoluzione portasse a una mutazione nel cervello umano tale da renderlo adatto alla lettura. Tutto è avvenuto per altre vie, molto più veloci.

Vecchie funzioni per nuovi usi. Il nostro cervello è fatto allo stesso modo di quello dei nostri antenati che vivevano di caccia e pesca e si scambiavano informazioni astratte prevalentemente per via orale, mentre la vista era dedicata a decodificare figure (di solito nella vita reale, qualche volta dipinte sulle pareti delle caverne). La scrittura ha dunque chiesto al cervello che controlla la vista di imparare a decodificare quei messaggi testuali che in precedenza si trasmettevano solo attraverso il suono e le orecchie. Questo è avvenuto, secondo Dehaene, non perché il cervello sia una tabula rasa che può imparare qualsiasi cosa, ma attraverso il riciclaggio di circuiti già utilizzati in precedenza per svolgere altri compiti: «Il nostro cervello non è una tabula rasa dove si accumulano costruzioni culturali; piuttosto è un organo fortemente strutturato che usa cose vecchie per farne di nuove. Per imparare nuove competenze ricicliamo i nostri antichi circuiti neuronali di primati, nella misura in cui questi tollerano un minimo di cambiamento».

Da questa visione consegue una considerazione sorprendente. «Se il cervello non ha avuto il tempo di evolvere sotto la pressione dei vincoli della scrittura, è allora la scrittura che è evoluta per tenere conto dei vincoli del nostro cervello». Il che è attestato da un fatto relativamente chiaro: la scrittura ha una storia molto più veloce dell'evoluzione del cervello, in modo tale che gli strumenti e i segni della scrittura si sono adattati alle precondizioni del cervello.
Se questo è vero, si può pensare anche che l'evoluzione della scrittura possa continuare. E che le nuove tecnologie possano accelerarla ulteriormente.

Due vie parallele di elaborazione del testo scritto. Scrive Dehaene: «Come funziona la lettura? L'elaborazione del testo scritto comincia nell'occhio. Solo il centro della retina, chiamato fovea, possiede una risoluzione sufficientemente elevata per riconoscere i dettagli delle lettere. Dobbiamo quindi spostare il nostro sguardo sulla pagina per identificare, a ogni pausa dell'occhio, una parola o due. Scomposta in migliaia di frammenti dai neuroni della retina, la sequenza delle lettere deve essere ricostruita prima di venire riconosciuta. Il nostro sistema visivo ne estrae progressivamente il contenuto composto di grafemi, sillabe, prefissi, suffissi e radici di parole. Alla fine entrano in scena due grandi vie parallele di elaborazione dell'informazione: la via fonologica e la via lessicale. La prima permette di convertire la sequenza di lettere in suoni del linguaggio (i fonemi), l'altra consente di accedere a un dizionario mentale dove è depositato il loro significato».

MICHAEL WESCH e la scrittura
L'antropologo Michael Wesch ha già provato a scrivere in modo diverso. Il suo testo scorre in un video nel quale ogni parola significa non solo attraverso il suo segno ma anche con il contesto nel quale è scritta. O con il processo dinamico attraverso il quale è cancellata e riscritta. Il suo testo parla della scrittura che cambia con la rivoluzione digitale. E dunque mostra come evolve dal mondo della carta e della matita al mondo del web.

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