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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2013 alle ore 14:29.
Un ragazzo vuole fare l'attore. Ma, con i provini e con le ragazze, non gliene va una dritta. E si domanda: «Forse sono io», come dire, forse è colpa mia. Potrebbe essere il soggetto di un film e, in effetti, è proprio così. Ma, un po' come succederebbe nella storia che racconta, non si trova il modo di produrlo. Così Vittorio Alfieri e la sorella decidono di arrangiarsi da soli. Aprono un account su Vimeo, prendono le loro telecamere, chiamano qualche amico. E cominciano il racconto. A puntate, sul web.
Il fenomeno delle webseries, che naturalmente sgorga dal successo dei telefilm e delle serie televisive, è ormai una realtà della rete. E sta inventando i propri format e le proprie soluzioni al problema del modello di business. I primi passi sono stati compiuti nel 1995, all'epoca visionaria dei pionieri, quando è andato in rete «Bullseye Art». Allora tutto era da costruire e ogni passaggio era un'invenzione. Nel tempo, la rete si è arricchita di piattaforme che hanno reso la vita dei produttori molto più facile. Quando sono arrivati YouTube e Vimeo il problema ha praticamente cessato di essere tecnologico ed è diventato essenzialmente creativo.
E sono usciti alcuni successi incredibili: «Red vs. Blue», un'interpretazione comica di una storia fantascientifica, prodotta in modo indipendente e distribuita su Vimeo ha raggiunto un'audience dell'ordine dei milioni di spettatori. Avviando un processo che ha portato il genere all'attenzione di moltissimi produttori, amatoriali e, nel tempo, professionali.
Da qualche anno, il fenomeno è arrivato in Italia. Una quantità di gruppi, quasi sempre giovanili, ha deciso di tentare questa strada. I successi non sono mancati. Inoltre, la facilità di produrre anche in inglese ha candidato anche le idee italiane a viaggiare verso numeri piuttosto significativi, come ha dimostrato «Stuck» che ha spesso superato le 50mila visualizzazioni.
Expopixel, la manifestazione sulla creatività digitale organizzata recentemente alla fiera di Bologna, ha ospitato un primo scambio di esperienze. Vittorio e Rossella Alfieri hanno spiegato che «Forse sono io» è una serie destinata ad essere accessibile sul suo sito, con i video caricati su Vimeo, e ha trovato il sostegno di alcuni sponsor. Il programma prevede anche una forma di finanziamento con il product placement. Anche «Horror Vacui» lavora sul product placement. Con una consapevolezza da tener presente: spiega infatti Luca Raffaelli, il produttore, che in questo contesto, il numero di visualizzazioni è meno importante per le aziende investitrici di quanto piuttosto non sia la qualità della storia. «A loro interessa soprattutto mostrare sui loro canali una serie di qualità nella quale sono presentati i loro prodotti. Le visualizzazioni della serie online, in sé e per sé non sono decisive per il raggiungimento degli obiettivi».
I costi contenuti consentono sperimentazioni che l'industria dei telefilm e del cinema non si può permettere. In qualche caso sono davvero molto contenuti: «All zombies are stupid» presentata a Expopixel da Roberto D'Antona, come si comprende dal titolo, è una parodia horror, è arrivata in finale al «LA web series Festival 2013» di Los Angeles e ha consentito ai produttori di recuperare i costi, cioè i 700 euro che sono stati pagati per i trucchi da zombie. In altri casi, i costi non sono di questo livello: ma in generale, dei budget da 25mila euro con il sostegno di qualche amico di buona volontà, consentono la produzione di serie da 10-12 puntate con professionalità sperimentate e risultati di qualità.
Il crowdfunding è la soluzione trovata da Antonio Micali per fare «InsideBatman». La serie è un mockumenthary, cioè un falso documentario. Batman è giù di morale perché nella sua città non ci sono più grandi criminali e si sente inutile o sottovalutato, perché deve occuparsi di evasori fiscali e pirati della strada. Lui non ride, ma gli spettatori sì. Ed è il pubblico che sostiene la produzione grazie, appunto, a una piattaforma di crowdfunding. Lo stesso avviene per «TheSushiBar» che cerca finanziamenti su Eppela. Lo scopo della serie è educativo e i produttori sono consulenti che si occupano di formazione aziendale. Quindi il loro modello di business è arricchito dal fatto che la serie li aiuta a raccontare di che cosa si occupano e come possono essere utili al management aziendale.
Anche così la rete abbatte le barriere all'entrata, sposta i limiti del possibile e costruisce nuove opportunità, non solo per i tecnologi ma anche per le professionalità creative.
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