Il 9 novembre la Commissione europea taglierà le stime di crescita del pil nell'eurozona e nella Ue per l'anno prossimo. Ormai si tratta solo di sapere di quanti decimali. In primavera indicava rispettivamente una crescita del pil del 2,5% e del 2,7%, tra due settimane il risultato della elaborazione della direzione generale affari economici sarà nettamente inferiore, nell'eurozona più vicina e probabilmente schiacciata sul livello del potenziale di crescita, cioè 2-2,25% (il Fondo monetario stima +2,5 nell'eurozona quest'anno, +2,1% l'anno prossimo).
Tanto per citare due variabili importantissime: le stime di primavera erano fondate su un euro a 1,33 dollari quest'anno e a 1,34 l'anno prossimo, e su barile di petrolio (Brent) a 66,2 e 70,3 dollari.
Adesso l'euro continua la sua corsa (stamattina al nuovo record storico a 1,4374 dollari) e pure il Brent ha superato per la prima volta la soglia di 89 dollari a Londra. Conti da rifare.
Preoccupati di non ingigantire il pericolo, i vertici comunitari preparano anticipatamente l'opinione pubblica ad ammorbidire il messaggio: il commissario spagnolo Joaquin Almunia continua a dichiararsi, sempre più a mezza bocca, "fiducioso" e in effetti nessuno evoca le fatidiche lettere RR, erre come rischio e come recessione.
Così si sente ripetere spesso che i "fondamentali" dell'economia sono messi piuttosto bene: nel 2006 sono stati creati 3 milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro, la disoccupazione è al livello più basso degli ultimi quindici anni (6,9%), sia l'occupazione che la crescita del pil hanno superato i ritmi americani per quattro trimestri consecutivi.
Non solo, indica la Commissione europea: i salari restano sostanzialmente moderati, i bilanci delle imprese sono solidi e, anche se rallenta, la crescita globale resta a un livello elevato: il Fmi stima +5,2% quest'anno e +4,8% l'anno prossimo. Ciò significa il quinto anno consecutivo di crescita al 4,8% o superiore (tra il 1999 e il 2008 la media è stata del 4,4%, tra il 1989 e il 1998 è stata del 3,2%).
Il riferimento alla domanda globale per l'eurozona è molto importante dato che, insiste sempre Bruxelles, le esportazioni europee ne sono condizionate più di quanto siano condizionate dai movimenti del cambio. A fare la differenza, naturalmente, sono la misura di tali movimenti e la persistenza di livelli record.
Così come è un problema di misura il prezzo del petrolio. Ma un conto è la bolletta in dollari un conto è la bolletta in euro: dal picco di primavera i prezzi in termini di euro risultano più alti solo di 75 centesimi.
Il dollaro basso funziona da ammortizzatore: calcola l'Agenzia internazionale dell'energia che in settembre in Europa i prezzi dei prodotti energetici al dettaglio sono aumentati in un anno del 5,7% in termini di euro contro il 14,7% in termini di dollari; i prezzi della benzina e del diesel sono aumentati del 7,9% negli Usa mentre nel resto dei paesi Ocse sono aumentati del 3,9% in termini di valute nazionali contro 11,7% in termini di dollari.
In effetti parlare di recessione è fuori luogo, anche se certamente la ripresa dai ritmi di crescita al lumicino nei primi anni del decennio (0,9% e 0,8% nel 2002 e 2003) culminata con il 2,7% nel 2006 si sta svaporando rapidamente.
Va aggiunto che in passato le recessioni sono state provocate da choc comuni e simultanei in diversi paesi: inflazione (inizio anni '90 con aumento dei tassi Usa ed Europa), scoppio di una bolla immobiliare (Giappone) o borsistica (inizio anni 2000). Per ora solo negli Usa ci sono indicazioni specifiche di una crisi immobiliare mentre in alcuni paesi europei è in corso solo un rallentamento (per il Fmi i paesi più vulnerabili restano Francia, Irlanda, Olanda e Spagna). E mentre nelle recessioni sincronizzate del passato le esportazioni si indebolivano fortemente oggi questo non accade fatta eccezione per il Regno Unito.
E' troppo presto comunque per dire che ce la siamo cavata con poco. In Germania i consumatori sono più demoralizzati che mai, in Italia si aspetta un nuovo rallentamento dell'economia a fine anno e in generale i principali indicatori europei calano ininterrottamente da quattro mesi. La sfera di cristallo resterà annebbiata ancora per un pezzo.