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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2012 alle ore 07:42.
L'ultima modifica è del 05 agosto 2012 alle ore 15:02.
Oro e carbonio. L'Italia naturale e l'Italia d'adozione, medaglie e lacrime nel ricordo delle vittime e nel nome della sofferenza. «È per me stessa e per tutti i terremotati dell'Emilia: la mia regione non deve mollare. I miei genitori sono appena rientrati nella nostra casa di Crevalcore per assistere in tv alla mia gara con settanta parenti e amici». A vent'anni, Jessica Rossi, non sognava le Olimpiadi, ma l'oro: «Tutte le notti andavo a dormire pensando al gradino più alto del podio». E non poteva fare altro, capace com'è stata di sbriciolare dalla fossa olimpica con 99 piattelli su 100 il precedente record del mondo. Ha vinto a mani basse confermando di essere fenomeno di uno sport che non è figlio di un Dio minore come insiste nel dire, dopo aver ascoltato l'inno di Mameli e mostrato al mondo l'oro. La sua dedica fa il giro d'Italia e tutti ringraziano dal presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani, al capo della polizia Antonio Manganelli per quell'agente dalla mira perfetta. Chi non aveva dubbi era Jessica, capace di presagire in un sms al fidanzato medaglia e record, e il papà Ivan, tiratore di rango, che svela di aver sempre saputo di avere «una figlia strepitosa». E quindi di aver cominciato a festeggiare molto prima che Jessica avesse appoggiato la carabina alla spalla per il primo round di piattelli.
Molto meno ovvio il trionfo del carbonio, evento del giorno a Londra 2012, fenomeno globale rispetto a quello, con un accento molto nostrano, della giovanissima Jessica. Ma anche questo con una quota d'italianità. Oscar Pistorius, 25 anni, ha segnato la storia sulla pista dello stadio olimpico nonostante il cronometro, fermo a 45"44 sia lontano dal primato sui 400 metri piani. Non è il tempo che conta, ma chi lo ha fatto. L'uomo con due lame di carbonio al posto delle gambe, sudafricano di passaporto, italiano d'adozione da quando innamorato delle spiagge di Lignano Sabbiadoro, ha preso ad allenarsi nel nostro Paese. Un indirizzo tragicamente celebre lo vede oggi cittadino d'Italia residente com'è, per molti mesi all'anno, a Gemona, la cittadina simbolo del terremoto friulano del 1976. Congiunzioni astrali legano il destino di Jessica a quello di Oscar, i loro nomi legati a trionfi e tragedie.
Si è allenato in un angolo di Friuli per vincere la corsa con la vita e per essere lì, fra i "normali", quelli con le gambe vere. Lo stadio è colmo al via della prima batteria, è un'esplosione di applausi quando Blade Runner arriva secondo alle spalle del dominicano Lugelin Santos e si conquista un posto per la semifinale di oggi. «Non sapevo se piangere, sono stato investito da un uragano di emozioni», dice fortemente scosso. Non è solo retorico, è anche sbagliato credere che Oscar Pistorius, amputato delle due gambe a 11 mesi di vita per una malformazione, abbia vinto ieri la sua gara finale. Londra lo ha battezzato al rango di atleta, senza prefissi e senza aggettivi, con tutto il carico che comporta e con le ambizioni agonistiche che questo significa. Vincere ora vorrà soltanto dire arrivare primo.
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