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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2012 alle ore 12:45.
Il vangelo di Niccolò Campriani, oro e argento nella carabina a Londra, è doloroso, difficile e romantico: «Il giorno in cui partii per l'America vidi piangere per la prima volta mio padre. Non è stato facile, ho stretto i denti: ai ragazzi italiani consiglio di provarci e poi tornare».
Come ha fatto a inizio Novecento un altro medagliato azzurro: Emilio Lunghi, argento negli 800 metri a Londra 1908. Nato nel 1886 a Genova, il fondista e mezzofondista partecipa ai Giochi carico di molti trionfi nazionali e anche di una vittoria eccellente: su Dorando Pietri negli 11,5 chilometri del Giro di Milano. Lunghi, una bellezza antica, dolce e degna delle Memorie dell'imperatore Adriano, arriva a Londra e non sbaglia: negli 800 metri si arrende solo al fuoriclasse americano Melvin Sheppard. A fine gara, la sua vita cambia corsia. I giornalisti di oltre oceano, invece di incensare il loro atleta, lo puntano e lo convincono ad andare in America per svoltare. Scioglie gli ormeggi della propria vita per allenamenti seri, alimentazione come dio comanda e a letto presto alla sera. L'atleta, che spesso pittori e scultori chiamavano come modello, è soddisfatto dei suoi mesi americani. Scrive così a casa: «In questo club vi sono tutte le comodità: ho masseur e traineur a mia disposizione. Qui mi alzo alle 8 e faccio subito colazione: un pasticcio di dolce, orzo, latte e zucchero, quattro uova fritte o bollite; unica bevanda il latte giacché a me il the non piace. Poi mi reco a fare una passeggiata di 7 o 8 miglia per la campagna, e al ritorno mangio nuovamente: dolce, roast-beef, pollo con maionese e latte. Alle 16 mi alleno, dopo mangio ancora una volta».
Lunghi parte talento e ritorna atleta, in America vince 27 delle 31 gare cui partecipa. Soprattutto, grazie al suo soggiorno a stelle e strisce l'atletica italiana entra in una nuova era: meno podismo, più pista e più concorsi. Ma oltre alla nuova vita, a qualche spicciolo, Lunghi vuole aria e libertà. Vuole la tramontana di Genova. La vita da atleta gli toglie ossigeno: a Stoccolma 1912 è eliminato in semifinale. Continua a correre per diletto - il suo è un animo da dilettante - ma con un occhio al sociale, alla sua città e diventa uno dei fondatori del sindacato dei portuali di Genova. Muore a 39 anni per una setticemia, scambiata per febbre reumatica. Ma tutto aveva avuto un senso, comunque. Anche cent'anni fa valeva la pena lasciare l'Italia madre e matrigna, andare in America, fare un giro di pista e tornare più forti, più grandi. Come Niccolò Campriani.
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