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Questo articolo è stato pubblicato il 09 luglio 2012 alle ore 15:45.

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A Pechino il sogno di una medaglia sfumò all'ultimo colpo, e Niccolò Campriani scivolò dal podio fino al decimo posto. Succede, se il tuo destino sportivo dipende da un tiro con la carabina, e la differenza tra il successo e la sconfitta sta in un millimetro, meno di un capello. In quattro anni la vita del 25enne fiorentino, punta della nostra spedizione olimpica di tiro a segno, è cambiata: l'allenamento negli Stati Uniti, la laurea in ingegneria manageriale ottenuta sempre in America, il legame con uno psicologo ed ex campione olimpico di tiro a segno, che gli ha insegnato a convivere con il ricordo di quel millimetro di troppo, quella mattina, in quel poligono cinese....

Difficile convivere con il ricordo di quel millimetro di troppo?
Non nascondo che la delusione di quattro anni fa è stata dura da mandar giù. Ma da allora molte cose sono cambiate: basti pensare che nel 2010 ho conquistato l'oro individuale, unico italiano finora a esserci riuscito. Adesso tutti mi danno tra i favoriti per l'oro, e io non mi tiro certo indietro

Come si è appassionato alla carabina?
Grazie a mio padre, che seguivo fin da piccolino quando andava al poligono. Il primo amore, come quello di tutti, è stato il calcio, ma poi il destino ha scelto diversamente, anche se devo dire che pure a tennis non me la cavo male...

Destro o mancino?
Destro, anche con la carabina in mano. Dal punto di vista tecnico, non cambia nulla. L'unica cosa buffa è che, visto che spariamo tutti in fila fianco a fianco, se di lato hai un mancino riesci a vedergli la faccia, e magari durante la gara ne incroci lo sguardo...

Non solo carabina, però nella sua vita....
Certo! Ho fatto tesoro della sconfitta di Pechino: negli ultimi tre anni ho vissuto negli Stati Uniti, mi sono laureato in ingegneria manageriale e allenato a Colorado Springs con i tiratori della squadra statunitense, gran parte della quale è composta da reduci dai fronti di Afghanistan e Iraq. E soprattutto a West Virginia, dove ho studiato, ho trovato Edward "Ed" Etzel, grande tiratore (oro olimpico a Los Angeles '84 nel fucile 50 metri sdraiati, nella gara che vide lo storico quinto posto del sanmarinese Nanni, ndr) e oggi psicologo dello sport.

Un maestro d'eccezione. Che cosa le ha insegnato?
«A finire le gare, a starci con la testa fino all'ultimo, anzi anche oltre l'ultimo istante. Il dettaglio è tutto, in una competizione dove il fallimento o la vittoria arrivano per meno di un millimetro, la metà di un capello, tanto per capirci...

Avversari?
«Non temo nessuno, ma li rispetto tutti. I cinesi hanno preparato quest'Olimpiade in maniera impressionante. Mi aspetto punteggi da record del mondo. Ma sono pronto a giocarmela, questa sfida. L'importante è lasciare la linea di tiro senza rimorsi né rimpianti. A Pechino la situazione era più grande di me: tirai l'ultimo colpo in fretta, quasi per liberarmi dell'angoscia. Stavolta sono pronto a provarci fino in fondo, al meglio delle mie possibilità.

Una curiosità. Ma il fascino del tiratore di carabina aiuta, nell'approccio con le universitarie americane, o i soliti giocatori di football e basket hanno sempre la meglio?
Non c'è partita, vincono sempre loro. Soprattutto se, come è successo a me, vai in America con la tua fidanzata.... Anzi, mi faccia una cortesia, questa risposta non la metta: ché lei è Petra Zublasing, fa parte della squadra olimpica e con la carabina se la cava benissimo: non vorrei ritrovarmi impallinato (e ci scappa la risata, ndr)!

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