Territorio Economia e Innovazione nei convegni Mps - Il Sole 24 Ore

Economia Aziende

Alle infrastrutture manca la visione

Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2010 alle ore 15:00.

In un raggio di poco più di 50 chilometri, i tasselli ci sono tutti: strade e autostrade, porti, ferrovie, aeroporto, interporto. Ma quei tasselli non formano un disegno unitario, fungibile; sembra un puzzle che abbia preso un colpo per sbaglio e invece – insistono gli operatori economici – basterebbe poco per ben integrare il tutto. Ma ci vogliono volontà politica e progettualità, due "merci" che qui in Abruzzo scarseggiano come nel resto del paese.

La dotazione infrastrutturale del Pescarese è decisamente buona, sopra la media italiana. Le elaborazioni del Sole 24 Ore del Lunedì sui dati dell'Istituto Tagliacarne indicano per la provincia di Pescara un livello di infrastrutture pari a 114,7 contro una media nazionale di 91,2; e l'unica altra provincia dell'area meridionale sopra questa media è Napoli (144,7). «Quelle che mancano sono le infrastrutture dell'ultimo miglio – conferma Luigi Di Giosaffatte, direttore dell'Unione industriali –. Ne è un esempio l'interporto di Manoppello, a 20 chilometri da qui: una struttura di 60mila metri quadrati, raddoppiabili. Ma l'autostrada Pescara-Roma lì non ha ancora un casello e manca il raccordo con la rete ferroviaria». Proprio in questi giorni la società interportuale, la Regione, le Fs e Autostrade stanno trattando la realizzazione di questi "dettagli", forse sfuggiti nell'89, quando venne concepita la struttura intermodale della Val Pescara.
In sofferenza anche l'Aeroporto internazionale d'Abruzzo, ben piazzato sia per prossimità al capoluogo, sia per la possibilità di sguinzagliare sul territorio abruzzese centinaia di migliaia di turisti. E invece...
Invece la mancata decisione di allungare di 170 metri la pista inchioda da un decennio l'aeroporto sui 400mila passeggeri all'anno. Con una doppia penalizzazione: strozza arrivi e presenze turistiche ma, soprattutto, con questi livelli di traffico è la società di gestione Saga a dover pagare alle compagnie 7 euro per passeggero, mentre basterebbe arrivare a 800mila persone/anno per uscire da questa tagliola. E l'allungamento della pista permetterebbe di aumentare le dimensioni degli aerei, così da far balzare immediatamente il traffico sopra il milione di passeggeri/anno.

Le risorse sono poche, i tempi dei finanziamenti a pioggia dovrebbero essere finiti, su questo tutti concordano. Ma proprio la scarsità rende strategica la loro allocazione. E si torna così al disordinato puzzle su cui le amministrazioni faticano a «scegliere», a «programmare», mandando l'intero sistema economico in affanno oltre il dovuto in presenza delle crisi interne e mondiali.

L’articolo continua sotto

Tags Correlati: Autostrade | Bridge | Camera di Commercio | Croazia | Daniele Becci | Ferrovie dello Stato | Italia | Luigi Di Giosaffatte | Mediterraneo | Montenegro | Saga | Sea | Tagliacarne | Trasporti e viabilità

 

La situazione non cambia se dal cielo si scende al mare. Di porti, in quella manciata di chilometri, ce ne sono ben tre: un piccolo, prezioso sistema che potrebbe far girare turismo e merci. Invece, anche in questo settore, nessuno prende decisioni di quadro: per esempio, la politica non sostiene con determinazione la vocazione di impianto turistico del porto di Pescara (peraltro già dotato di un marina da oltre mille posti barca), vagheggiando possibilità di tipo commerciale; allo stesso tempo, non vengono concentrati su Ortona e Vasto investimenti e piani utili a renderli competitivi in Adriatico, dove tra Brindisi e Venezia non c'è praticamente nulla. Risultato: l'intero sistema portuale dell'area Pescara-Chieti vivacchia, anziché marciare deciso verso il «Sea Bridge», quel progetto di naturale sbocco marittimo verso Ploce (Croazia) e Bar (Montenegro) che intercetti il traffico intermodale del Corridoio transeuropeo V, Lisbona-Kiev.

A Pescara è basata anche una piccola flotta peschereccia, ma non saranno i pescatori di vongole e di tonno che cambieranno le sorti di un porto canale il cui imbocco va ogni anno liberato dalla sabbia. Un lavoro che ogni anno costa 800mila euro di affitto di una draga, mentre – osservano gli operatori - con la stessa somma la Regione potrebbe acquistarne una propria e finirla con il salasso stagionale. Ortona e Vasto dovrebbero essere porti commerciali con importanti sinergie tra loro, visto che dalla banchina nord di Ortona e quella sud di Vasto c'è lo stesso spazio del bacino portuale di Marsiglia. Ma sarà difficile finché, solo per citare un esempio, l'ufficio doganale di Ortona sarà l'unico di un porto di rilievo che chiude il venerdì pomeriggio e riapre il lunedì successivo.
A questo torpido laisser fair, Croazia e Montenegro rispondono sviluppando la ricettività soprattutto nel diporto: avanti di questo passo, barche a vela e grandi yacht preferiranno svernare dall'altra parte dell'Adriatico, meglio collegato, meglio attrezzato e meno caro del dirimpettaio abruzzese.

«Quella struttura grigia, cadente e con il tetto in amianto, ci blocca da dieci anni» dice il presidente della Camera di commercio, Daniele Becci, indicando dalla torre di controllo del marina l'enorme scheletro dell'ex Co.fa., mercato ortofrutticolo dismesso. Proprio alle spalle di uno dei più grandi porti turistici del Mediterraneo, quelle mura grige impediscono persino la vista di Pescara, mentre l'Azienda di gestione aspetta ormai da dieci anni che la Regione decida la destinazione del rudere. «Sarebbe un'area di espansione naturale del porto – continua Becci –, ora isolato dalla città. Un diportista viene qui, dorme in barca e nemmeno scende. E dire che siamo l'unica città in Italia che ha una bretella autostradale a quattro corsie che arriva fino al porto. Ci siamo offerti di acquistare quell'area per allargarci, proporre ricettività, un centro commerciale. Sa cosa ci ha risposto la Regione? Niente».