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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2010 alle ore 15:46.
Bologna capitale, si diceva solo qualche anno fa. Arrivando a prefigurare per la città felsinea un ruolo centrale nel superamento dello storico policentrismo emiliano-romagnolo. Rimane ben poco, oggi, di questa aspirazione. L'affaire Delbono e l'onta del commissariamento del Comune, proprio lì, nel cuore della terra delle virtù civiche narrate da Putnam, è tuttavia solo l'attestazione di una crisi politica che ha radici lontane. Quella di una città che sempre più, troppo spesso, è convinta che la sua identità si risolva tutta attorno alle Due Torri.
Consapevole, tuttavia, che il vero problema è, sempre più, nel suo rapporto con ciò che le sta attorno. E attorno c'è un'Emilia-Romagna sempre meno modello emiliano e sempre più melting pot di realtà territoriali ed economiche che sembrano avere più punti in comune con gli altri nord che tra loro. Con l'Emilia manifatturiera, per esempio, che appare sempre più Veneto che Romagna, e la Romagna, a sua volta, incerta tra il ruolo di retroterra borghigiano del distretto del piacere riminese e le tentazioni da secessione dolce. In mezzo Bologna vive il suo ipermoderno travaglio. Come sostiene Paolo Feltrin, acuto analista delle economie nordestine, con Milano e Venezia, Bologna è il vertice meridionale di un "triangolo d'oro" del capitalismo padano dove negli ultimi trent'anni, trainato dalle grandi reti infrastrutturali, si è concentrato lo sviluppo economico e demografico. Un triangolo di cui oggi, tuttavia, rischia sempre più di essere l'anello debole.
Bologna è una città infinita senza coscienza di esserlo. Metropoli diffusa che in piccolo riproduce una frammentazione sociale da metropoli globale. Con la crisi della politica, della sua capacità di mediare i processi di modernizzazione, la città non è ancora riuscita a tradurre la sua antica vocazione di città-regione e porsi come epicentro di una metropoli diffusa e poliarchica. Per dirla con una battuta ormai fin troppo abusata, Bologna deve ritrovare la sua funzione di città-trattino non solo tra Emilia e Romagna, ma tra regione e mondo. Con uno spazio di posizione che la collochi come alveo delle funzioni di eccellenza che solo un ambiente compiutamente metropolitano è in grado di sviluppare; nonché crocevia di interscambio delle grandi direttrici di mobilità di persone, merci, conoscenza. Laddove invece, a volte, la città pare irretita in una funzione di luogo di mediazione da sindacalismo istituzionale del policentrismo emiliano, tra soggettività e istituzioni che però paiono oggi sempre più deboli nel rappresentare gli interessi comuni. Con un policentrismo che nelle more di una politica in ritirata rischia di tradursi in un raddoppio di funzioni dai costi insostenibili, come è evidente nel caso del sistema fieristico, o in quello del sistema aeroportuale.