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Un'economia che vuole fare rete

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2010 alle ore 13:43.

Cartina geografica, matita e righello. Da Pescara, tiriamo una riga verso est fino a Dubrôvnik, in Croazia. Ora digitiamo su Google Maps l'itinerario Pescara-Dubrôvnik e scopriamo che non si va a est ma a sud, fino a Bari, da dove si salpa per l'altra sponda. Altra riga transadriatica dalla città di D'Annunzio a Plôce, dietro l'isola di Korcula: stavolta la linea blu dell'itinerario digitale balza verso nord, fin dentro il porto di Ancona e da lì naviga su Zara per poi ridiscendere a Plôce. Google non sbaglia: da Pescara non c'è modo di raggiungere la pur vicina Croazia.

Fine del giochino. Ma gli asettici responsi di Google Maps evidenziano un aspetto drammatico di questa piccola provincia adriatica, dotata di infrastrutturazione abbondante ma non pianificata, «che non fa sistema» come ripetono qui, riferendosi più o meno a tutto. Non fa sistema la realtà produttiva, composta per l'89% da aziende con meno di 50 addetti (e il 93% di queste è sotto i 10); non fa sistema la ricerca universitaria con quella privata; le banche sono frammentate quanto le imprese e nemmeno il turismo riesce a organizzare un'offerta che sfrutti appieno le ricchezze della regione.
«Il terremoto dell'Aquila non ci ha dato una mano – dice il presidente di Federturismo, Dario Colecchi – anche se molto è un problema di immagine: in Abruzzo si possono benissimo trascorrere ottime vacanze. Invece siamo doppiamente penalizzati, perché gli operatori che non rientrano nel "cratere" hanno perso mercato e non hanno diritto agli aiuti statali. Ma le carenze della nostra offerta turistica risalgono a ben prima del 6 aprile 2009». Il turismo qui è importante, lo dicono tutti. Ma l'ultimo piano triennale per il settore – 107 eleganti paginette – che porta la data 2010-2012 «è la fotocopia di analisi e piani già visti – chiosa Colecchi –: peccato che poi tutto sia rimasto sulla carta».

Un fatto è certo: l'autentica originalità dell'Abruzzo turistico, il suo plus, sta nello straordinario binomio mare-montagna, fruibili all'interno di una manciata di chilometri e arricchiti da due Parchi naturali. Il problema è venderla, l'accoppiata. La stessa esperienza controcorrente di Daniele Kihlgren, giovane siculo-svedese che ha concepito qui in Abruzzo il primo albergo diffuso, a Santo Stefano di Sessanio, rischia di restare una perla di recupero urbanistico e ambientale incastonata nel nulla dell'intorno. Come convogliare lì i visitatori? Ancora nessuno lo sa, anche se il giovane Kihlgren ripropone in altri borghi il suo personale mix di bellezza paesaggistica e qualità edilizia. Già, l'edilizia: il lungomare di Pescara è una sequenza ininterrotta di ristorantini e a ogni ristorantino corrisponde, in stagione, un altrettanto piccolo bagno attrezzato con ombrelloni e sdraio.

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Provincia pura? Di sicuro, e pure giovane (è del 1927); ma anche – come dice il professor Pepe Barbieri, direttore del locale dipartimento Ambiente, reti, territorio – una «metropoli piccola». Un ossimoro originale per decrivere la ininterrotta conurbazione che scende dalla Romagna a Pescara. «Una metropoli non è solo un ammasso di uffici e abitazioni – spiega Barbieri –. La metropoli la fanno i comportamenti metropolitani, la gente che vive da una parte, lavora da un'altra, va al cinema a 20 km di distanza». Ma questa è teoria e nemmeno gli anni seguiti all'affrancamento (quanto meno statistico) dal «Mezzogiorno», sembrano passati invano.
Daniele Becci, costruttore, presidente della Camera di commercio, non usa tanti giri di parole: «Una volta la politica era più lungimirante: siamo l'unica città in Italia che ha una strada a 4 corsie che arriva fino al porto. Questa capacità d'iniziativa non c'è più e gli effetti si vedono, ma anche noi imprenditori abbiamo le nostre responsabilità: abbiamo preferito galleggiare in quel vuoto che, in fondo, permetteva tutto. Oggi questo non è più possibile».

C'erano una volta i distretti, quelle realtà locali di produzione, che globalizzazione e delocalizzazione hanno in molti casi spento. Ancora dolorante, la struttura produttiva locale cerca il rilancio facendo rete: data una specializzazione per produrre qualità, serve un network per fare massa critica sui mercati, avere forza per ottenere il credito necessario. Il contratto di rete è l'organizzaiozne giuridica di un distretto multinazionale, dove – in linea con i tempi - non è la contiguità fisica che fa filiera, ma la competenza ovunque geograficamente radicata.
Proprio la settimana scorsa, l'infaticabile animatore dell'Unione industriali di Pescara, Luigi di Giosaffatte, ha concluso il contratto di rete imperniato sulla Brioni di Penne, una straordinaria realtà della moda top, conosciuta e ramificata in tutto il mondo, ma ben attaccata alle sue abruzzesissime radici. «Radici forti – chiarisce Di Giosaffatte (pennese Doc) –: questo marchio occupa 1.800 persone e fattura 200 milioni». Attorno alla Brioni, che forma sarti locali e ne addestra anche da Londra, è cresciuta una rete di piccole imprese del settore ad altissima specializzazione. Il Polo dell'alta moda dell'Area Vestina è un luogo storico-produttivo di eccellenza e il G-8 dell'Aquila, l'anno scorso, è stato una straordinaria conferma per la supersartoria di Penne, visto che da anni sette di quegli otto capi di Stato vestono Brioni.

Dal 2008 è iniziato per il Pescarese un periodo difficile, poi aggravato dal terremoto. L'occupazione è calata più che nel resto del paese, così come il Pil regionale. In questo quadro, la burocrazia ingessata pesa sempre più: un settore importante come le costruzioni deve mettere in conto 24-30 mesi per ottenere una licenza edilizia. E le cave di inerti? Il tempo medio per ottenere un via libera è di 22 mesi, durante i quali si riuniscono due diverse conferenze di servizio (Ambiente e Attività produttive) spesso formate dalle stesse persone, che da sedi diverse devono dare lo stesso parere.
Anche se non mancano i progetti che offrono prospettive di crescita a diversi settori. Dalla meccanica, con il «Campus automotive» in Val di Sangro, che sta nascendo intorno a Fiat, Sevel, Honda per essere un polo di innovazione per il settore, legando imprese, università, centri di ricerca; al turismo, per cui si sta lavorando alla «Via verde» sulla costa teatina: la pista ciclabile e pedonale più lunga d'Europa che sfrutta i 45 km di tracciato, a ridosso del mare, dismesso delle Fs. Una pista da arrivare a collegare alla rete marchigiana. Poi ci sono i piani sulle aree dismesse, come quelle chietine dell'ex cartiera Burgo, dell'ex polo elettronico ed ex zuccherificio. La prima è già destinata all'Innovazione tecnologica (In.Te.) con l'insediamento di una ventina di aziende della filiera del recupero e riciclo collegato a un centro logistico di Eurospin; per un'altra è progettata un'attività di wellness e fitness, che occuperà circa mille persone.

Ma un nodo dello sviluppo che verrà presto al pettine è quello della presenza di gas e petrolio. Un settore che oggi vale 4-5mila occupati, moltissimi giovani laureati; che rappresenta il 60-70% della movimentazione del porto di Ortona e che, secondo alcuni studi, potrebbe dar luogo a quasi 700 milioni di investimenti tra impianti a terra e a mare. Oggi in Abruzzo sono attivi 106 pozzi e 7 impianti di stoccaggio. Ma questa attività è anche vista come un insulto alla «regione verde» che punta sul turismo. È proprio così? La battaglia è in pieno corso e ciò di cui si sente profondamente l'assenza è, al solito, un indirizzo politico che eviti l'acuirsi delle contraddizioni ma, soprattutto, l'immobilismo sia energetico sia turistico. Contro il business di gas e petrolio ci sono anche amministratori locali e imprenditori, segnatamente quelli impegnati nel turismo. Sta di fatto che 10 anni fa si estraevano 150 milioni di metri cubi di prodotto all'anno, oggi 30-40, anche se questo pesante calo non sembra aver contribuito al decollo del turismo.
Come spesso accade, la politica tace oppure dà i numeri: nel 2003 la Regione ha elaborato un Piano energetico, approvato solo l'anno scorso, ma su dati vecchi di sei anni; quel piano dice che nel 2015 il 51% dell'energia abruzzese dovrà venire da fonti rinnovabili, quando a livello nazionale si indica un 20% di rinnovabile, ma solo nel 2020.