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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 11:16.
Posta a cerniera tra pedemontana lombarda e veneta, Verona è da sempre città delle reti e degli scambi. Snodo strategico, memore da sempre del suo status di città quadrilatero a vocazione mitteleuropea.
La sua economia si disegna come un vero e proprio melting pot produttivo in cui tutto si tiene. A ben vedere città che per la sua polisettorialità è più lombarda che nordestina. Un tratto prezioso per un Veneto impegnato a riflettere su come governare la transizione del suo modello manifatturiero; e che a Verona ha attutito e reso meno pesanti le ricadute sul tessuto produttivo e sociale (nel 2009 -2% il Pil contro il -4,7% regionale).
L'agricoltura è di qualità e con le produzioni vitivinicole vanta il 18% delle imprese. Numeri importanti sostenuti da una filiera agroalimentare ai primi posti in Veneto per capacità di export. La manifattura fa perno a nord sullo storico distretto del marmo (4mila addetti nel 2007, ma -28,3% del valore esportato nel 2009) e a sud sulle filiere del mobile di qualità. In mezzo la città scaligera con arte e cultura tradotte in vocazione turistica e logistica e finanza che disegnano reti terziarie ad ampiezza europea. Se la finanza veronese, storica cassaforte del capitalismo molecolare nordestino, appare oggi sospesa tra territorio e mercati globale, sembra essere la logistica a giocare il ruolo determinante per il futuro della città, facendone una cerniera tra nord-ovest e nord-est, tra nord e sud. A partire dalle reti lunghe dell'Interporto quadrante Europa o con Fiere come Vinitaly o l'aeroporto in grado di competere con Milano e Malpensa. Con l'occhio a fare di Verona il nodo di una piattaforma logistica e produttiva ad alta velocità e capacità che guarda soprattutto al rapporto con la città infinita lombarda.
Come nel resto del nord anche Verona paga la crisi soprattutto in termini di ridimensionamento del manifatturiero e un mercato del lavoro che nel 2009 ha visto l'occupazione contrarsi soprattutto nel metallurgico, nell'edile, nel marmo e al contrario crescere nel turismo e nel sociale con un boom di assunzioni di lavoratori immigrati, badanti e colf. Una metamorfosi terziaria e multietnica trainata dunque da un mix di reti lunghe e da un'economia di servizi alla persona e al sociale.
Oggi Verona appare una città alla ricerca del suo ruolo, stretta dentro una transizione molecolare, a grana fine, che ne sta mutando in profondità l'economia e la società, ma apparentemente senza indurre nelle élite della città scossoni di alcun tipo. Nonostante le difficoltà crescenti di filiere importanti come quella del marmo, del tessile o del mobile. In una città in cui a partire dal 2005 la crescita per proliferazione dell'impresa si è arrestata per divenire negativa dal 2008 in poi. E che è sempre più multietnica al pari delle altre città medie venete con oltre il 13% di stranieri residenti. Che al pari dei veronesi indigeni sempre più spesso utilizzano l'impresa come veicolo di integrazione visti i 3.992 immigrati extracomunitari che occupano cariche in imprese locali.