Territorio Economia e Innovazione nei convegni Mps - Il Sole 24 Ore

Economia Aziende

Alla ricerca del coraggio perduto

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2010 alle ore 12:17.

Chissà che la soluzione non sia già effigiata in quel pin sfoggiato da Mario Picchio sul bavero del suo gessato manageriale. «Questa è la spilla-attestato di uno dei corsi che teniamo qui per addestrare gli artigiani a utilizzare al meglio i nostri prodotti». Il «qui» è la Roland Dg Mid Europe, multinazionale nipponica dei supporti per grafica e incisione, di cui Picchio è presidente. Anziché limitarsi a vendere plotter e altri gadgets, il vulcanico manager ha voluto una sala attrezzata – banchi, pc, lavagna elettronica – per tenere corsi che proseguono in un «forum artigiano tecnologico» sul sito della Roland. Via web, i minuscoli operatori del settore decorazioni e pubblicità (etichette per bottiglie, magliette, pareti, fino ai pannelli adesivi pubblicitari che coprono bus e grattacieli) si scambiano esperienze, sfoggiano la loro bravura, consigliano i colleghi meno esperti. Se occorre, risponde la Roland. Non a caso Picchio e altri otto tra manager, professionisti e imprenditori forma la commissione valutatrice dell'«Officina delle idee», progetto promosso dalla Confindustria ascolana per favorire la nascita di nuove aziende, mettendo in contatto imprenditori e giovani creativi piceni. Esperienze consolidate, nuove idee dal basso e agenzie che fanno matching tra questi mondi.

Fosse tutto così, il Piceno non avrebbe alcun problema, anzi sarebbe un modello di interazione tra il nuovo che avanza e la tradizione produttiva orgoglio dell'intera regione. Purtroppo le cose stanno diversamente e, con rare eccezioni, il Piceno è ancora alla ricerca della lama giusta per smarcarsi del tutto dalle zavorre del passato.

La provincia di Ascoli Piceno ha subìto pochi mesi fa l'amputazione di metà del suo territorio, con la nascita della Provincia di Fermo. Il pessimo risultato di una forzatura politica localistica di cui nessuno, oggi, rivendica la paternità. L'esagerazione campanilistico-vittimista che ha ossessivamente dipinto un territorio fermano negletto, bistrattato, deluso dall'arcigna Ascoli, oggi appare per quello che è: la caricatura di un malessere esistente, ma gonfiato e che ora penalizza tutti – fermani e ascolani – in un'orgia di doppioni organizzativi, costi alle stelle, inefficienze che si perpetuano. Il tutto è stato formalmente sancito nel 2004 da una distratta Regione Marche, che sei anni fa ha sottovalutato le grida secessioniste, forse scambiandole con usuali lamentele di paesani irrequieti. Ora un po' tutti ripetono che «Fermo si è messa in scia a Monza, all'epoca apripista delle nuove province». Spiegazione obiettivamente debole di esiti obiettivamente pesanti.

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Oggi Ascoli Piceno conta 213mila abitanti sparsi in 33 comuni, 24mila imprese piccole e micro (oltre 6mila sono artigiane, oltre 15mila contano uno o zero dipendenti). Completamente sparito – risucchiato dalla neoprovincia – il distretto calzaturiero noto in tutto il mondo per i marchi Della Valle, Prada, NeroGiardini. «Eppure – scuote il capo Piero Celani, eletto nel 2009 – sono il primo presidente della provincia ascolano da 50 anni a questa parte. I miei predecessori erano tutti fermani». A parte ciò, lamenta Celani, «mi ritrovo con 790 dipendenti da pagare, problemi sindacali per il trasferimento di personale, spese duplicate, il peso del 70% dei costi della divisione». Costi importanti anche per un periodo meno critico dell'attuale, se si pensa che solo per allestire la prefettura di Fermo servono almeno 30 milioni.

Campanilismi a parte, l'inutile e onerosa divisione deriva anche dai 40 anni di sovvenzioni Casmez, quando qui il clima era persino troppo rilassato. I fondi statali per le aree del Mezzogiorno, di cui fino al 1992 hanno goduto alcuni comuni del Piceno (ma non del Fermano) hanno indotto due fenomeni: gli scarpari e il loro frenetico indotto hanno dovuto inventarsi un'economia che li traghettasse fuori dall'agricoltura; nello stesso periodo, una batteria di grandi aziende, anche multinazionali (cartiera Mondadori, Barilla, Carbon, Carlo Erba, Manuli, Ceat), hanno garantito otto lustri di benessere, una sicurezza da posto statale che i figli ereditavano dai padri. In agosto nessun ascolano andava in vacanza e non solo per curare la terra: soprattutto perché la chiusura estiva dava il via alla manutenzione dei grandi stabilimenti e l'indotto artigianale entrava in pista. A quei tempi la ferrovia (ancora oggi non elettrificata) portava ogni giorno nel cuore del capoluogo, area Carbon, due treni colmi di grafite, che ripartivano con il prodotto finito.

Insomma disoccupazione sconosciuta, certezza del domani, benessere e qualche indolenza di troppo. Nessuno sembra essersi curato che la testa delle aziende restasse all'estero o al nord; nessuno che si ponesse il problema di equilibrare produzioni e ambiente; a tutti - sindacati, amministratori, cittadini – andava bene essere un semplice mercato del lavoro dipendente con scarse reti di indotto incollate al monocliente multinazionale. Nessuno – e il tempo c'è stato – ha provato a immaginare cosa sarebbe potuto accadere con la fine degli incentivi, e quella «cosa» si è materializzata – aziende che riducono o traslocano in cerca di nuove sovvenzioni tipo Casmez, piccole ditte chiuse, posti cancellati, mobilità – malignamente alimentata dalle crisi a ripetizione che dal 2000 in poi non ha più lasciato in pace il mondo, l'Italia e nemmeno le Marche. Figuriamoci il Piceno...

I lavoratori in mobilità sono ormai decine di migliaia, le provvidenze della Regione stanno via via scadendo, si profila anche una disoccupazione intellettuale; ma quello che più preoccupa è che in questo Piceno, privato dei suoi pregiati (e opportunisti) asset, è difficile cogliere quell'intraprendente spirito marchigiano che ha risolto tanti passaggi difficili della storia del paese.

Anche i sindacati ora sono preoccupati, come testimonia il segretario provinciale della Cisl, Antonio Angelini: «Qualcuno dei vecchi posti siamo riusciti a salvarlo, ma quel passato di lavoro ipergarantito non tornerà. A noi va bene anche che Barilla mantenga le linee di produzione senza nuovi investimenti e con un mix di posti fissi e stagionali, ma stiamo pagando questa flessibilità a caro prezzo». Angelini si riferisce anche ai recenti accordi sottoscritti per conservare 140 posti degli oltre 500 che dava la Manuli prima di andarsene, ma intanto sindacati di base e Ugl raccolgono un po' avventuristicamente i frutti del malcontento, soffiando su un ribellismo sociale massimalista, sulla paura, le esasperazioni, le mediazioni rifiutate, fino a indire contromanifestazioni mentre i sindacati confederali sfilano per chiedere lavoro.

Davanti a un quadro così difficile, meglio tralasciare le lamentele più o meno campanilistiche sui fondi regionali per la cultura lesinati ai festival ascolani (75mila euro) ed elargiti a milioni al Rof di Pesaro o allo Sferisterio di Macerata; meglio sorvolare sui fondi per l'università stanziati ancora in lire, 15 miliardi, e utilizzati solo quest'anno dopo un decennio di liti tra amministratori locali. Né molto può l'assessore regionale Antonio Canzian, con la sua delega (senza portafoglio) al Progetto speciale piceno: segue i progetti già avviati sperando di intercettare Fondi europei e invita tutti a collaborare per avere qualche chanche di successo.

L'Ascolano è un posto in cui ancora si vive bene, alzare gli occhi sui monti Sibillini o sulla costa adriatica rappresenta comunque un vantaggio competitivo: parchi montani a portata di mano, Bandiere blu alle coste pulitissime, un tessuto sociale ancora garantito dalla forte tradizione familiare. Forse oggi manca un po' il coraggio di osare, di credere e attuare formule intelligenti, come quella simboleggiata da mouse e mano disseminata dai Picchio che qui non mancano. Servirebbe il coraggio di accompagnare le Bandiere blu con qualche hotel a 5 stelle, di agganciarsi allo storico distretto agroindustriale con iniziative di innovazione, di non mollare sull'intrapresa orientata alle energie rinnovabili.

Se il Piceno avrà trovato questo coraggio e se, intanto, le iniziative si saranno radicate, lo sapremo tra poco. La fase dei sostegni emergenziali pubblici all'urto della disoccupazione sta cessando e anche questa provincia, oggetto di un'avventata vivisezione amministrativa, dovrà per forza riprendere a camminare da sola. Se non ci riuscirà, i giovani operai, i giovani artigiani e anche i giovani professionisti dovranno per forza guardare altrove.

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