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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2011 alle ore 11:15.

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È una gabbia che imprigiona la piccola industria del Centro-Nord così come grandi e micro imprese da Aosta a Palermo. E le cui sbarre sono costituite da fisco e burocrazia asfissianti, energia troppo cara, credito e meritocrazia latitanti, infrastrutture in ritardo, investimenti nell'attrattività del sistema-Paese assenti. Non c'è traccia di emergenze locali nelle parole dei presidenti regionali e provinciali dei comitati Piccola industria, pronti a partecipare numerosi e attivamente, con idee e progetti, alle Assise generali di Confindustria del prossimo 7 maggio a Bergamo.

«Ci piacerebbe poter parlare di sviluppo internazionale, di crescita dimensionale, di ricerca - spiega Mariacristina Gherpelli, alla guida dei Piccoli imprenditori di Confindustria Emilia-Romagna – tutti temi cruciali per il nostro futuro, ma per poterli affrontare bisogna prima avere i fondamentali a posto. E così non è. Mi riferisco ai costi paralizzanti, tra fisco e burocrazia, che costringono piccole imprese a distrarre le poche risorse interne e tempo prezioso dalle attività proprie; a un sistema normativo punitivo e a una giustizia biblica; a un credito che tra crisi e approssimarsi di Basilea 3 stringe il cappio al collo dei piccoli imprenditori».

«Sono otto temi fondamentali e trasversali a tutte le imprese, a prescindere da dimensione e localizzazione, quelli in agenda a Bergamo – concordano il presidente della Piccola di Confindustria Toscana, Massimo Giaccherini, e il suo omologo delle Marche, Mario Mancini – perché quello che manca, verso l'obiettivo della crescita, è un assetto complessivo volto a favorire l'efficienza del sistema Italia. Partendo dalla consapevolezza che la Pmi rappresenta la quasi totalità del nostro sistema produttivo». I dati sugli associati di Confindustria riflettono appieno il profilo dimensionale evidenziato da Unioncamere nell'area, dove il 99,8% delle imprese registrate a fine dicembre ha meno di 100 addetti (ciò significa che le "big" sono poco più di 2.500) e che il 94,8% del totale ha addirittura meno di 10 dipendenti.

«Il rapido e radicale cambiamento di mercato – aggiunge Mancini – e la crescente tensione concorrenziale stressano le debolezze strutturali del nostro sistema industriale: se finora la dinamicità e la flessibilità offerte dal sistema "distretto" a piccole e micro imprese erano riuscite a colmare il gap competitivo rispetto a realtà più strutturate, ora la piccola azienda non è più in grado di rispondere da sola alla sfida globale, beneficiando esclusivamente delle esternalità positive del distretto. La collaborazione tra imprese appare sempre più come elemento necessario per affrontare i mercati esteri, l'innovazione, la ricerca». «Al di là dei proclami spesso gratuiti sul contratto di rete – fa eco Giaccherini – le reti sono oggi di fatto lo strumento principe per le Pmi per affrontare il tema internazionalizzazione, poiché la ripresa arriva solo da fuori confine. E in un'ottica di sviluppo, guardando al futuro con concretezza, penso sia prioritario il tema dei giovani: bisogna aprire le porte aziendali a menti e risorse nuove e innovative a tutti i livelli, dal tecnico al manager, valorizzando il merito, aiutando i contratti di apprendistato e di formazione aziendale».

È un «grido di solitudine cui si aggiunge la sensazione di avere tutto il Paese contro, anche la società», quello che lancia il ternano Antonio Alunni, alla guida della Piccola industria dell'Umbria, amareggiato dalla recente sentenza Thyssenkrupp, «una decisione epocale – spiega – che è contro l'impresa e il fare impresa e che allontanerà sempre più le multinazionali dal nostro territorio; ma lo stesso atteggiamento si legge nelle politiche del Governo, bollate come deludenti, ma in realtà inesistenti. Perché la madre di tutti i problemi è un debito pubblico che impedisce la crescita. La metà del Pil è legata alla spesa pubblica, un'anomalia che paralizza il Paese e la possibilità di investire in sviluppo e politiche industriali».

Che piccolo non sia più sinonimo di bello è oggi consapevolezza comune tra gli industriali del Centro-Nord, al pari della necessità di capitalizzare le aziende per ambire ai mercati globali. «Noi imprenditori siamo motivati e attivi – assicura Enzo Bartoli, vicepresidente con delega alla Piccola di Confindustria Reggio Emilia – ma serve un contesto idoneo per esprimere la nostra capacità competitiva, non certo una burocrazia che drena 21,5 miliardi l'anno». «Non si può continuare a prelevare sangue a chi ha un'anemia al limite del fatale – interviene Sandro Bertini, presidente comitato Piccola industria Macerata – ossia alla Pmi che è la colonna vertebrale dell'industria italiana. Servono incentivi mirati, agevolazioni e norme a misura della piccola azienda». E la battaglia contro la burocrazia è la prima da intraprendere anche secondo Patrizia Capitani, rappresentante Piccola industria dell'Unione parmense degli industriali. Paolo Zama, alla guida della Piccola industria Ravenna, aggiunge alla lista delle «urgenze non più rimandabili», una formazione più alta e mirata, infrastrutture consone allo sviluppo industriale e turistico, credito, comunicazione. «Priorità – spiega – cui fa da denominatore comune il nodo della piccola dimensione non più adeguata allo scenario economico: per questo bisogna sfruttare al meglio e potenziale la legge sulle reti di impresa». «Apprezzo l'approccio pratico e di confronto delle Assise di Bergamo – conclude dal comitato Piccola di Confindustria Pistoia, Sabrina Tonti – perché qui sta venendo meno la voglia di essere imprenditore e c'è bisogno di fare chiarezza: la politica non ci aiuta a lavorare con serenità».

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