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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2011 alle ore 08:21.

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Crescere e accumulare competenze per crescere. È un circolo virtuoso quello che Confindustria delinea per il futuro delle Pmi partendo dai dati del sondaggio coordinato dal Csc e condotto da Demos&Pi su un campione di imprese manifatturiere associate con meno di 250 addetti. Dalle interviste emergono ancora una volta gli sforzi, ma anche le difficoltà mai superate verso un salto di qualità dimensionale decisivo per agganciare la ripresa.

Le interviste sono sintetizzate nel rapporto "Costruire il futuro-Pmi protagoniste: sfide e strategie" che sarà presentato oggi a Bergamo, nel corso del Consiglio centrale della Piccola Industria. L'introduzione al rapporto, curata da Luca Paolazzi, direttore del Csc, e da Giangiacomo Nardozzi (Politecnico di Milano), segnala come la ripresa economica postcrisi sia ancora «faticosa» anche perché ci sono «danni permanenti» al sistema produttivo. Eppure, è il giudizio, crescere è una necessità inderogabile. Partendo «dall'innovazione» che deve avvenire «in un contesto favorevole alle iniziative imprenditoriali che quell'innovazione producono».

L'identikit delle imprese
Le Pmi in Confindustria sono mediamente molto piccole: il 37% non supera i 20 addetti e un altro 32,7% non va oltre i 50; il 38,7% ha un fatturato inferiore a 5 milioni. Il metalmeccanico è il settore di gran lunga prevalente (48%). Tra loro, la consapevolezza dell'importanza della crescita dimensionale è diffusa: «Solo il 13,4% dice che la stazza raggiunta va bene così». Idee chiare anche su quali vantaggi potrebbe portare un balzo della struttura: possibilità di fare più ricerca, controllare di più i mercati, affacciarsi all'estero, aumentare la produttività.
L'analisi dettagliata, condotta da Giancarlo Corò (Università Ca' Foscari Venezia) e Paolo Gurisatti (Step e Demos&Pi), mette in rilievo l'innovazione come principale leva per crescere. Nelle strategie già adottate o prossime ad essere varate, quasi il 90% delle Pmi intervistate segnala proprio l'innovazione di prodotto o di processo, più di quanti scommettono sull'entrata in nuovi mercati esteri (80%) o sull'inserimento di professionalità manageriali (70%) e sugli investimenti nel marchio (60%).

Nuovi modelli
Lo slogan "piccolo è bello", prevalente negli anni 70 e 80, sconta il cambiamento dei tempi e sembra sempre più datato. L'impressione – si legge nel rapporto – «è che il drappello di innovatori si sia sempre più staccato dal grosso del gruppo, dove si trovano molte piccole imprese». «Molte Pmi hanno compiuto, o stanno per compiere, un salto culturale, ma molte ancora non l'hanno fatto».

Da un lato i dati accreditano la tenuta sui mercati esteri, un diffuso impegno sull'innovazione e anche una certa capacità di strutturare i rapporti con il mondo delle banche. Dall'altro mostrano un sistema organizzativo poco evoluto, troppo ancorato al modello dell'impresa familiare. Il quadro è definito preoccupante nel caso delle microaziende, con meno di 20 dipendenti: «Molte di queste imprese si attardano su posizioni di retroguardia». Spostandosi verso le piccole dimensioni di impresa, la presenza sui mercati esteri tende a calare. In linea generale, circa il 23% commissiona produzioni all'estero, l'11,8% ha costituito unità commerciali e solo il 7,2% unità produttive. È un elemento incoraggiante il fatto che solo un'impresa su tre tra quelle intervistate indichi come principale concorrente un operatore localizzato nelle economie emergenti: segno di una positiva evoluzione verso il medium-high tech e segmenti di qualità più alta. Interessante anche notare l'effetto del fattore età: l'ultima generazione di imprenditori è infatti più aperta a collaborazioni commerciali con l'estero e utilizza fornitori di altri Paesi più della media. In conclusione, è indubbio che il grado di internazionalizzazione possa essere aumentato, ma questo richiederebbe più aggregazioni di quanto le Pmi non si dichiarino disponibili a fare (il 54,6% le esclude).

Strategie di sviluppo
La strategia competitiva più diffusa tra le Pmi di Confindustria continua a essere la differenziazione e la qualità dei prodotti. Solo il 35% delle imprese dichiara come prioritario il prezzo. Oltre sei imprese su dieci dichiarano di avere avviato innovazioni di prodotto e/o di processo. Negli ultimi dieci anni più della metà delle imprese intervistate dichiara di avere aumentato le risorse destinate a ricerca e sviluppo, alla produzione interna e alla gestione delle risorse umane. Spicca però, tra le microimprese, la difficoltà di accrescere gli interventi sulle funzioni organizzative.

Gli ostacoli alla crescita
«Piccolo – si legge nelle conclusioni – non è più tanto bello come una volta e la crescita dimensionale comincia a essere un salto necessario, da realizzare sotto il profilo culturale, cioè in termini di conoscenza, governance e struttura aziendale». Per farlo andranno rimossi gli ostacoli che le stesse Pmi segnalano come più impegnativi. Il 48,5%, tra i motivi della mancata crescita dimensionale, segnala la domanda insufficiente; il 47,9% la mancanza di capitali e il 27,8% gli ostacoli burocratici.

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