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Questo articolo è stato pubblicato il 13 aprile 2011 alle ore 11:41.
Che cosa hanno in comune i Paesi Brics? Brasile, Russia, India, Cina e ora il Sudafrica, invitato in dicembre in un gruppo nato più da una previsione che dalla spinta della storia: l'intuizione di Jim O'Neill, economista di Goldman Sachs, che le economie che ancora chiamiamo "emergenti" sarebbero presto diventate locomotive nel mondo, superando i Paesi del G-7.
Oggi e domani i Brics celebrano il terzo summit annuale nell'isola cinese di Hainan, l'occasione per rivedere i calcoli sul loro peso nel mondo, e per interrogarsi sul senso di un'associazione in cui ciascuno fatica ad andare oltre i propri interessi nazionali, e sul legame con le "altre" economie, il mondo occidentale, che li osserva proprio negli stessi giorni dagli incontri del Fondo monetario internazionale a Washington.
Il primo incontro bilaterale - in programma martedì tra il presidente del Brasile Dilma Rousseff e il cinese Hu Jintao - ha già mostrato gli elementi chiave del vertice Brics. Il desiderio di Brasile, India, Russia e Sudafrica di ribilanciare gli squilibri commerciali nei confronti di Pechino, a cui si chiede di importare più prodotti manifatturieri e hi-tech, e non solo materie prime. Nell'incontro di mercoledì mattina tra i ministri del Commercio, il rappresentante cinese Chen Deming ha assicurato che sarà prioritario per Pechino aumentare l'import di merci a valore aggiunto dagli altri Brics. Ma non è desiderio dei padroni di casa affrontare apertamente il problema (per gli altri) di uno yuan che la Cina intende rafforzare molto gradualmente, per non destabilizzare i propri produttori. A danno, però, delle esportazioni altrui.
Nelle dichiarazioni di intenti i cinque Brics hanno trovato facilmente un tono comune: il desiderio di accelerare l'ingresso della Russia nell'Organizzazione mondiale del commercio e di rilanciare i negoziati commerciali del Doha Round. Comune anche la preoccupazione per il rischio surriscaldamento delle rispettive economie, "pressioni inflazionistiche e possibilità di bolle", ha sintetizzato Chen, conseguenza delle misure di stimolo adottate dai Governi per superare la crisi del 2008-9. Scenari economici e nuova architettura finanziaria, rincari nelle materie prime, aumento della cooperazione Sud-Sud e impiego delle valute locali negli scambi, in contrapposizione al dollaro. Sono i temi che i leader dei cinque Paesi riprenderanno giovedì, con l'obiettivo di trovare una posizione comune e far pesare di più la propria voce sul resto del mondo ricordando la differenza tra i rispettivi tassi di crescita, e il ruolo dei Brics al traino della ripresa mondiale.
Tra le contraddizioni, al di là dei richiami contro il protezionismo, ci sono barriere commerciali che tra i Paesi del Sud sono più alte che tra Sud e Nord, come fa notare l'ultimo rapporto dell'Asian Development Bank. Nel campo della politica, i Brics sono ancora meno omogenei, ma tenteranno un approccio comune sulla guerra in Libia e le altre crisi aperte a livello internazionale. L'associazione delle economie che parlano per il mondo in via di sviluppo sembra aperta a raccogliere altri membri, come ha accennato la Cina nei giorni scorsi. Si parla di Indonesia, Messico, Corea del Sud, Turchia. Ma già il "padre" dei Brics guarda oltre: «Non ha più senso chiamarli mercati emergenti», ha scritto O'Neill il 31 marzo sul Times, le prospettive di questi Paesi ora sono molto più ampie. Una definizione più aggiornata, suggerisce, è "i mercati della crescita".
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