Federalismo fiscale: una riforma destinata a cambiare l'Italia

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«Così si tradisce il federalismo fiscale». Regioni fredde sulle proposte del governo

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 07:36.

«Così si tradisce il federalismo fiscale». Con promesse di finanziamenti da incassare non onorate dal governo, col decreto milleproroghe che è «a-federale». Mentre la speranza di azzerare l'Irap sarà «una missione impossibile» e con la pioggia di addizionali non alzare la pressione fiscale sarà una sfida inverosimile. I governatori alzano il tiro sul federalismo fiscale. Ancora senza strappi, ma con richieste che chiedono al governo di rispettare al più presto. Ma non senza divisioni, a cominciare dai distinguo delle regioni a trazione leghista, Piemonte e Veneto.

Sono stati di scena i governatori, ieri, nell'audizione davanti alla bicamerale sullo schema di decreto su fisco regionale e costi standard sanitari. Con loro anche le province e una rappresentanza dei sindaci, toccati non certo marginalmente dal federalismo regionale. Sul tappeto nodi e dubbi che i commissari hanno fatto capire di non voler lasciar passare sotto silenzio. «Clima positivo, ci sono margini di miglioramento», ha commentato Enrico La Loggia (Pdl), presidente della bicamerale che intanto ha nominato Massimo Corsaro (Pdl) relatore di maggioranza e Francesco Boccia (Pd) di minoranza. Ma siamo ancora alla battute iniziali. Non senza incognite sull'eventuale cambio dell'attuale rapporto di forza (15 a 15 tra maggioranza e opposizioni) se Mario Baldassarri, che però ieri lo ha negato, lasciasse il Fli.

Intanto ieri le regioni un risultato lo hanno incassato da Calderoli: le norme sulla conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica faranno parte del decreto sul fisco regionale, estrapolate dal decreto sulle sanzioni agli amministratori in deficit contestato dai governatori: «È incostituzionale ed esorbitante», ha detto Vasco Errani (Pd, Emilia Romagna). Stessa stroncatura attende del resto il ddl di Fitto che va oggi in consiglio dei ministri che fa nascere la «conferenza delle repubblica» dalle ceneri di stato-regioni, stato-città e conferenza unificata.

Proprio a Errani ha rappresentato la posizione delle regioni. Col primo affondo dedicato al mancato rispetto dell'accordo col governo – legato al parere positivo sul federalismo – che prevede tra l'altro il reintegro di 400 milioni per il trasporto pubblico locale. «È fondamentale per il rapporto sul fisco regionale, così il dialogo è a rischio», ha ribadito Errani. E qui c'è stato il distinguo del leghista Roberto Cota (Piemonte): «Certo, è stato sottoscritto un accordo. Ma è cosa diversa dal federalismo fiscale. Il governo manterrà l'accordo».

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Altro tasto dolente: le modifiche al milleproroghe. Anche in questo caso Errani non s'è tirato indietro: «Ci sono norme caratterizzate da un impianto a-federale». Come l'obbligo per le regioni di pagare in proprio con le addizionali le calamità naturali, senza trasferimento di risorse dal fondo nazionale. O i 70 milioni per la sanità destinati agli enti lirici o ancora le risorse sottratte per le alluvioni in Veneto, Toscana e Liguria.

Insomma, conti che non tornano. E dubbi che crescono. Il raccordo tra i diversi decreti applicativi del federalismo fiscale, ha ribadito Errani, dev'essere chiaro e coerente: «Se si interviene sulle addizionali Irpef dei comuni e poi su quelle delle regioni e poi ancora sulle addizionali per le calamità naturali e in un comma si dice "senza aumentare la pressione fiscale", la domanda è: come?». Interrogativo che vale per la «missione impossibile, impraticabile, irrealizzabile» di arrivare a un fantomatico azzeramento dell'Irap. E ancora: i dubbi che i governatori seminano a piene mani sulla gestione del fondo transitorio e perequativo, sulla progressività dell'Irpef, sul finanziamento dei Lep (livelli di assistenza nel sociale), sui piani di rientro dal debito sanitario da allungare, su benchmark e costi standard sanitari. Mentre per le province Nicola Zingaretti (Pd, Roma) ha contestato l'autonomia insufficiente e il rischio di non poter svolgere le funzioni essenziali dalla scuola alla formazione professionale, dai servizi per il lavoro all'ambiente. E i sindaci non sono stati da meno: attenti al centralismo regionale, occhi aperti per arrivare a una perequazione con criteri precisi e separati. E questi sono paletti per i governatori.

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