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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2012 alle ore 10:16.
I soldi alla famiglia Bossi, i diamanti sequestrati a Belsito, la cacciata di Rosy Mauro e Piergiorgio Stiffoni. E prima ancora la scelta del Capo di lasciare la segreteria federale (per la quale si ricandiderà), seguita da quella di Renzo di rinunciare alla carica al Pirellone. La Lega investita dalla bufera giudiziaria spiazza analisti e sondaggisti (oltre che i militanti). E prevedere gli effetti possibili sul voto alle amministrative è complicato: in molti ipotizzano un consistente ridimensionamento dei Lumbard, altri non ci scommetterebbero.
Poco prima dello scandalo il Carroccio, a livelllo nazionale, era dato intorno al 10% (dall'8,5% precedente alla nascita del Governo Monti), quel punto e mezzo in più di consenso lo avrebbe strappato al Pdl (sceso in quel periodo dal 24,5% al 23%). In Lombardia e in Veneto i lumbard contavano su un'affermazione vicina a punte del 30 per cento, tenendo conto che la Lega corre da sola in 402 comuni. Ma adesso le cose starebbero diversamente e il Carroccio potrebbe perdere fino a un terzo del suo elettorato, attestandosi tra il 6 e il 7% a livello nazionale e in una forbice compresa tra il 15 e il 20% in Veneto e in Lombardia.
Ma dove potrebbero andare quegli elettori lumbard intenzionati a lasciare il Carroccio? «Una parte», prevede Alessandro Amadori di Coesis Research «arriverà alle liste civiche e sceglierà solo in base al candidato, non secondo logiche politiche, senza escludere preferenze per lo schieramento apparentemente contrappostro». Diversa la questione per quanto il riguarda il voto politico, in futuro. In questo caso secondo Amadori i leghisti che decidessero di lasciare Bossi e Maroni potrebbero optare per Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle, oppure (ma in parte minoritaria) per il Pdl. Altri ancora sceglierebbero la sinistra (come Sel), «per questioni di lotta di classe, di ricerca di tutela». Del resto «in passato è accaduto esattamente il contrario e ora questi voti potrebbero tornare da dove sono venuti». Ma una parte dei lumbard potrebbe anche decidere per il non voto.
Su quale sarà lo scenario nessuno però è disposto a scommettere, anche perché i segnali che arrivano dal territorio sono molteplici. Un'indagine della Camera di commercio di Monza e Brianza (che ha coinvolto oltre 1000 imprese lombarde) registra una domanda di riforma dei partiti che arriva al 40% nelle province di Varese, Bergamo (39%) e Brescia (38,7%) ma è ancora più alta nel milanese (quasi il 50%). Sempre nel varesotto considera che i partiti non servano più il 30% degli intervistati, percentuale che scende al 9% nel bresciano. Dove però il 50% degli interpellati ritiene che i partiti siano sempre meno importanti. A preferire un governo tecnico a un esecutivo politico sono in molti, con picchi vicini al 61% nel comasco.
Intanto la Padania ha pubblicato un tagliando con il quale i lettori possono indicare chi vorrebbero come segretario federale. Ma tra i leader lumbard c'è chi non gradisce: è il caso di Roberto Calderoli, perché teme che la preferenza possa venire «espressa su un coupon da chicchessia, fosse anche da un nemico giurato della Lega e della Padania».
Umberto Bossi conta di ripresentarsi in congresso come segretario federale. «È una sorta di sciamano della Lega», dice di lui Alessandro Amadori, «e le sue parole non hanno più un effetto propulsivo, ma nemmeno negativo, servono a evitare una prospettiva di scissione a breve».
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