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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2012 alle ore 13:02.

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Giuseppe GuzzettiGiuseppe Guzzetti

Questi 20.000 alloggi verranno realizzati tramite il Fondo Investimenti per l'Abitare (Fia) promosso da Cdp Investimenti Sgr (società partecipata al 70% da Cdp Spa e al 15% ciascuna dall'Acri e dall'Abi) e i fondi regionali e locali che stanno nascendo in diverse regioni d'Italia, anche grazie all'intervento catalizzatore delle nostre Fondazioni. Il fondo nazionale Fia potrà operare direttamente su quei territori dove i fondi locali non dovessero nascere, ma soprattutto potrà investire fino al 40% nei fondi locali: una quota che mi auguro, anzi chiedo, passi presto al 60%. Questo ruolo di fondo di fondi consentirà al Fia di aumentare il proprio potenziale di base, pari a circa 2 miliardi di euro, e ai fondi locali di decollare.

Forse, però, il piano nazionale di housing sociale con alle spalle il Fia non ci sarebbe mai stato se in questi anni non si fosse ampliato il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti, anche grazie all'ingresso nel suo capitale delle Fondazioni di origine bancaria. Nel 2003, infatti, 65 Fondazioni hanno investito 1 miliardo e 50 milioni di euro nel patrimonio della Cassa, pari al 30% del suo capitale, aderendo all'offerta dell'allora Ministro della Economia e delle Finanze, il professor Tremonti, che così privatizzava e rinnovava un ente che lo stesso azionista di maggioranza definiva un gigante addormentato. Un gigante che in questi anni da un lato ha dato ai suoi azionisti un rendimento significativo, dall'altro ha intrapreso un percorso di cambiamento capace di esprimere quelle potenzialità e quel ruolo a favore della crescita e dello sviluppo del Paese, che sono una delle principali ragioni del nostro ingresso nel suo capitale. Eravamo convinti infatti che, pur presente da decenni a sostegno della crescita economica italiana, la nuova Cdp avrebbe potuto fare molto di più grazie a una formula organizzativa rinnovata, che dà oggi modo di coniugare la maggior efficacia del ruolo di propulsore di sviluppo per l'Italia con la capacità di creare valore per i suoi azionisti, in quanto impresa.

Con la privatizzazione del 2003, la Cdp è uscita, infatti, dal perimetro del bilancio pubblico ed ha assunto un ruolo innovativo, abbinando alla tradizionale attività di banca degli enti locali (gestione separata) nuove attività che le consentono di intervenire su fronti strategici per l'innovazione e lo sviluppo anche a fianco di imprese private. Le Fondazioni azioniste hanno sempre avuto un ruolo di stimolo affinché la Cdp dia il più pieno sostegno alla ripresa dell'economia reale, anche tramite la costituzione di fondi di investimento dedicati, non ultimo il Fondo strategico italiano (Fsi) e prima il Fondo per le piccole e medie imprese. Essa, inoltre, partecipa a fondi di private equity destinati alle infrastrutture nazionali e internazionali, come F2i, Marguerite e InfraMed, all'housing sociale come ho già ricordato, all'incentivazione del partenariato pubblico-privato, alla valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. E credo che sempre più nel futuro il suo ruolo di servizio allo sviluppo sarà importante per la ripresa del Paese.

In questi centocinquant'anni di storia nazionale a sostenere lo sviluppo del Paese sono state soprattutto le banche. E tuttora abbiamo un sistema bancocentrico, per cui il loro ruolo è anche oggi cruciale. Non hanno sempre svolto nello stesso modo questo compito e soprattutto negli ultimi venti anni hanno realizzato un cambiamento profondo: il superamento della supposta antinomia tra la corretta prestazione di un servizio d'interesse pubblico essenziale – quale quello della tutela del risparmio e dell'intermediazione creditizia – e la possibilità, direi anche la capacità e il dovere, di fare impresa, appunto impresa bancaria.

L'ultimo decennio del secolo che si è appena concluso ha visto il progressivo affermarsi della logica e delle regole del mercato, la privatizzazione delle banche pubbliche e la loro trasformazione in società per azioni: un'evoluzione profondamente legata alla progressiva affermazione del mercato unico europeo nel settore del credito.

Qui, peraltro, dovrei fare un lungo inciso, per rimarcare che l'accresciuta interdipendenza delle economie e l'assetto pienamente multipolare dell'economia mondiale stentano a trovare modalità di funzionamento adeguate, che non lascino aperti spazi, purtroppo ora estremamente ampi, a quegli operatori collettivi che mirano a raggiungere risultati finanziari in un'ottica di tempo breve, spesso brevissimo. Tra essi mi riferisco, in particolare, a quelle istituzioni che la pubblicistica ufficiale chiama collettivamente "sistema finanziario ombra", un'espressione che sottolinea come la scarsa trasparenza sia una caratteristica essenziale di questi operatori. Queste istituzioni, pur intervenendo ampiamente nei mercati finanziari, sfuggono a gran parte dei vincoli regolamentari cui sono sottoposte altre istituzioni finanziarie quali ad esempio le istituzioni creditizie. E tipico di questi operatori è l'ampio ricorso a contratti derivati e a strumenti finanziari caratterizzati da un'elevata leva finanziaria: un'operatività che contribuisce spesso in modo decisivo ad esasperare le fasi di ribasso o di rialzo dei mercati.

È necessario ricondurre la finanza alla sua funzione positiva, che in parole chiare e semplici si può così riassumere: contribuire ad attenuare e a risolvere le difficoltà dell'economia reale, non determinare una loro esasperazione; creare valore per l'intera comunità, non extra-profitti per esperti di speculazione.

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