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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2012 alle ore 13:02.

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Giuseppe GuzzettiGiuseppe Guzzetti

A 15 anni dalla loro nascita le nostre Fondazioni erano già state destinatarie di oltre trenta provvedimenti legislativi, più gli atti amministrativi come decreti ministeriali, atti di indirizzo e circolari… Erano stati esperiti tutti i gradi della giustizia italiana, da quella costituzionale a quella amministrativa, civile e tributaria, ma anche la giustizia europea si era occupata di loro. La Commissione Europea, a seguito della denunzia di un parlamentare italiano, si era dovuta pronunciare sulle Fondazioni di origine bancaria e aveva affermato che sono enti privati, non profit, con finalità sociali e, quindi, ad esse, non sono applicabili le norme sulla concorrenza. Relatore fu l'allora Commissario europeo professor Mario Monti e devo dire che, conoscendo il suo rigore e la sua integrità, quel pronunciamento ebbe per tutti noi un grandissimo valore. Fu poi la volta della Corte di Giustizia del Lussemburgo che, chiamata da un giudice della Corte di Cassazione di Roma ad annullare la decisione della Commissione, ne confermò invece la fondatezza, ribadendo in una sentenza del gennaio 2006 la natura privata e non profit delle nostre Fondazioni.

Insomma, la più alta magistratura italiana, la Corte Costituzionale, e la più alta magistratura europea, la Corte di Giustizia del Lussemburgo, hanno messo la parola definitiva sulla natura privata e senza scopo di lucro delle Fondazioni di origine bancaria.

Non è senza legittima soddisfazione che possiamo affermare che, in tutte queste vicende, legislative, giudiziarie, amministrative europee, i nostri buoni diritti sono sempre stati riconosciuti e tutelati. Questi risultati, è certo, sono dovuti al fatto che si trattava di "buoni diritti" e non di una litigiosità pervicace delle Fondazioni; ma, soprattutto, sono dovuti alla compattezza delle Fondazioni e all'azione dell'Acri, che si è guadagnata sul campo il proprio prestigio per la serietà e la trasparenza dei propri comportamenti.

Il Congresso di Bolzano fu anche quello in cui si espresse l'auspicio di arrivare alla definizione di uno statuto europeo per le Fondazioni. Da allora molto tempo è passato, ma nel febbraio scorso - grazie soprattutto alla costante attenzione al tema da parte dell'Efc-European Foundation Centre, a cui aderiscono 36 Fondazioni italiane di origine bancaria, e di Dafne-Donors and Foundations Networks in Europe, che è l'associazione delle organizzazioni nazionali delle fondazioni, a cui l'Acri aderisce - la Commissione Europea ha finalmente avanzato una proposta articolata volta a istituire un'unica forma giuridica in ambito comunitario, la Fondazione Europea, che sarebbe sostanzialmente identica in tutti gli stati membri e coesisterebbe con le fondazioni nazionali. Essa potrà essere costituita ex novo, tramite conversione di una fondazione nazionale oppure attraverso la fusione di fondazioni nazionali, acquisendo personalità giuridica al momento della sua registrazione in uno stato membro dell'Unione.

Avere una personalità e capacità giuridica uniche in tutti gli stati Ue eviterebbe di incorrere in tutte quelle incertezze burocratiche, legate a regole spesso diverse nei vari paesi, che tanto incidono in termini di dispendio di tempo e di costi in consulenze giuridiche per realizzare interventi transfrontalieri, i quali invece potrebbero favorire la collaborazione tra più fondazioni di diversi paesi, dando maggior slancio ad attività culturali, progetti di ricerca, di solidarietà, sociali e sanitarie, utili ad aggiungere "anima" all'Europa.

Dal punto di vista del regime fiscale, invece, non ve ne sarebbe uno unico per tutti i paesi, ma si applicherebbe quello del paese d'origine della fondazione: ossia le Fondazioni Europee beneficeranno del medesimo regime fiscale applicato alle fondazioni nazionali e i donatori che le sosterranno avranno diritto alle stesse agevolazioni riconosciute in caso di donazioni a una fondazione istituita nel loro stato membro, che considererà le Fondazioni Europee equivalenti alle fondazioni di pubblica utilità istituite nell'ambito della propria legislazione nazionale.

A questo punto, però, ritengo necessario aprire una parentesi. Da quanto già detto risulta ben chiaro che le Fondazioni di origine bancaria sono riconosciute dalla giurisprudenza - e sono nella sostanza - soggetti non profit. Preciso che essere non profit non vuol dire non fare profitti, ma destinare i profitti derivanti dall'investimento dei propri patrimoni, al netto delle imposte e dei costi di gestione, ad attività utili per la collettività. E questo fanno le nostre Fondazioni: il frutto dei loro patrimoni è messo al servizio di uno scopo, spesso riassunto nella parola filantropia, ma che, forse, potremmo più opportunamente cominciare a chiamare welfare di comunità o di secondo livello.

Affronterò il contenuto di questo tema più avanti. Ora voglio portare la Vostra attenzione su un fatto: l'attuale regime di tassazione non valorizza il ruolo sussidiario delle Fondazioni di origine bancaria e non appare coerente con l'art. 118 della Costituzione, che invece la sussidiarietà, sia verticale sia orizzontale, invita a sostenere e a rafforzare. E il confronto con l'Europa rende ancor più evidente il trattamento sfavorevole applicato alle nostre Fondazioni. Solo per citare qualche esempio, in Francia la legge finanziaria per il 2005 per le fondazioni con finalità di utilità sociale ha in pratica detassato qualsiasi tipologia reddituale, ossia i redditi da investimenti, da dividendi, da immobili e da terreni, i redditi da attività senza fini di lucro e le attività economiche nei settori rilevanti. Inoltre, le attività commerciali eventualmente esercitate dalle fondazioni scontano la normale tassazione prevista per le imprese solo nel caso in cui vengano perseguiti fini di lucro, altrimenti anche i redditi derivanti da tali attività sono esentati. Anche in Germania vige una fiscalità particolarmente vantaggiosa in quanto i redditi da investimento, se utilizzati per fini sociali, sono esentati; è inoltre consentito l'accantonamento al patrimonio fino a un terzo del reddito da investimento e, nel caso in cui l'attività istituzionale non sia concorrenziale con le imprese a fini di lucro, anche questa è completamente esentata.

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