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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2012 alle ore 13:02.

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Giuseppe GuzzettiGiuseppe Guzzetti

Le Fondazioni hanno sottoscritto consistenti aumenti di capitale in questi ultimi anni, evitando così che dovesse entrare in campo lo Stato – e quindi i soldi del contribuente – per rafforzare i patrimoni delle banche italiane, come è invece avvenuto negli Stati Uniti e in altri paesi in Europa, e dove continua ad avvenire. Questo aspetto delle banche italiane partecipate dalle Fondazioni non viene mai messo in evidenza. Qualcuno auspica che le Fondazioni vadano fuori dalle banche, ma se le Fondazioni non avessero sottoscritto gli aumenti di capitale necessari per ripatrimonializzare le banche sarebbe dovuto intervenire lo Stato con soldi pubblici, cioè i denari dei contribuenti, come è stato negli Usa, in Gran Bretagna, in Germania con le Sparkassen, le Landesbanken, la Commerzbank, e come sta avvenendo in questi giorni in Spagna.

Da parte delle Fondazioni non si è trattato dunque di voler mantenere posizioni di forza nelle banche, ma di accollarsi un impegno – gravoso – nell'interesse della banca e della stessa Fondazione, la quale ha cercato così di difendere il valore di un proprio asset. Ma anche e soprattutto, riteniamo sia stato nell'interesse del Paese.

Le banche italiane sono solide e finora hanno prosperato perché hanno saputo diventare impresa, ma non hanno dimenticato di essere comunque organismi che dal sociale traggono la loro forza. Il legame con il territorio, vitale per molte attività economiche, per le banche è ancor più decisivo.

Nel contesto delle aziende di credito italiane le Casse Spa sono quelle per le quali probabilmente più impegnativo è stato il processo di evoluzione. Malgrado questa loro profonda evoluzione, è confortante constatare che la loro specificità rimane e spesso si è estesa ai grandi gruppi bancari di cui molte sono entrate a far parte. La loro storia è descrivibile come un continuo tentativo di contemperare gli obiettivi del profitto con quelli di garantire la sicurezza dell'investimento ai risparmi raccolti e una presenza di servizio nel territorio; sicché le originarie finalità sociali sono ancora parte integrante del loro profilo, anche per il ruolo di azionista delle Fondazioni.

Negli anni Novanta molti hanno creduto che questa evoluzione portasse verso la definitiva chiusura dell'alternativa fra l'essere soggetto attivo della realtà territoriale e l'essere operatore che finalizza la sua attività alla realizzazione di profitti. Allora come adesso penso che questa lettura sia miope e fondamentalmente erronea: non si tratta di un'alternativa ma, al contrario, di una necessaria interazione. Solo una banca che sa operare in modo efficiente può aiutare lo sviluppo della realtà in cui opera e solo nel rapporto con un'economia in sviluppo si pongono le condizioni per la crescita di una banca efficiente. Deve essere però altrettanto chiaro che non serve avere banche efficienti se non contribuiscono allo sviluppo dei territori nei quali operano.

Chiudo ricordando che le Fondazioni di origine bancaria non controllano le banche, ma semplicemente una parte del loro patrimonio è investita in questo settore. E che gli amministratori delle Fondazioni non interferiscono – e non possono interferire - nella gestione delle banche.

Le Fondazioni sono investitori istituzionali e, come tali, hanno i diritti propri degli azionisti (cioè approvare i bilanci e nominare gli amministratori), nulla di più. La normativa vigente dispone la totale incompatibilità tra gli amministratori delle Fondazioni e gli amministratori delle banche. Presidenti, consiglieri, sindaci, direttori e segretari generali delle Fondazioni non possono sedere negli organi delle banche, né delle società controllate e partecipate.

In merito, poi, al preoccupato allarme sul rischio che le Fondazioni possano rappresentare la cinghia di trasmissione per mettere negli organi delle banche i rappresentanti dei partiti, è da sottolineare, oltre alla suddetta incompatibilità, anche il fatto che non è vero che gli enti pubblici (Comuni, Province, Regioni) abbiano la maggioranza negli organi delle Fondazioni. Saggiamente la riforma "Ciampi", e in modo ancora più esplicito la sentenza n. 301/2003 della Corte Costituzionale, ha previsto che la componente "pubblica" non debba avere la maggioranza nell'organo di indirizzo delle Fondazioni; anzi, la componente pubblica deve essere minoritaria, spesso largamente minoritaria, in particolare nelle Fondazioni associative. Sono certo, inoltre, che la corretta applicazione della Carta delle Fondazioni renderà ancor più concreta questa separazione rispetto alla politica.

In merito agli altri investimenti delle Fondazioni, essi sono la maggioranza. Si tratta prevalentemente di attività finanziarie gestite in proprio o tramite terzi, mentre gli investimenti in attività immobiliari, come ho già detto sono assolutamente marginali. C'è poi una piccola parte dell'attivo, circa l'1 e mezzo per cento, investito in società strumentali e altri impieghi funzionali alla realizzazione della missione delle Fondazioni: una scelta che si sta affermando sempre più come filosofia di gestione degli investimenti. Si spazia da partecipazioni in società per lo sviluppo dei territori, inclusa la Cassa Depositi e Prestiti, a quelle dirette e indirette in autostrade, aeroporti ed altre infrastrutture locali, municipalizzate e fondi etici.

Ho parlato molto, spero non troppo. Non ho detto tutto ciò che avrei voluto. Voglio, però assicurare al Presidente del Consiglio e al Paese che il sistema delle Fondazioni e le Casse di Risparmio continueranno a fare la loro parte per la crescita dell'Italia, avendo di mira solo l'interesse di questo nostro Paese in difficoltà. E questa non è un'affermazione retorica. Essa trova conferma in tante cose fatte, come la già citata Fondazione con il Sud e il piano per l'housing sociale. Per il futuro lavoreremo a una proposta operativa per realizzare un autentico e più ampio welfare comunitario: ovvero pubblico e privato insieme, per non lasciare senza risposte – rassegnandoci alla riduzione di risorse pubbliche – quei bisogni che è necessario soddisfare per mantenere la coesione sociale nelle nostre comunità: l'attenzione agli anziani, ai disabili, agli immigrati, ai giovani in difficoltà, alle situazioni di infanzia negata e di povertà. A questi bisogni il welfare di comunità dovrà rispondere, per evitare che la disgregazione sociale si sommi alla crisi economica e a tassi di disoccupazione giovanile non accettabili per un paese democratico. Questo è l'impegno prioritario che in modo solenne assumiamo in questo Congresso per l'immediato futuro.

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