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Questo articolo è stato pubblicato il 09 luglio 2012 alle ore 18:08.

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L'hanno chiamato fulmine, saetta, lampo. Per alcuni, evidentemente più giovani, è invece Speedy Gonzales, oppure Beep Beep. Usain Bolt, giamaicano di Trelawny, 26 anni e un carico di successi e di trofei da mettere in difficoltà pure la statistica, è l'uomo più veloce al mondo. Ufficialmente, dalle Olimpiadi di Pechino del 2008, quando sbaragliò la concorrenza nei 100 e nei 200 metri, bruciando il cronometro e stabilendo il nuovo record mondiale. Così, come se fosse nulla. Lui correva e gli altri dietro, ad ammirare il talento e la soprendente facilità nell'esecuzione di uno dei più grandi velocisti di sempre.

Tre medaglie d'oro ai Giochi olimpici cinesi (sì, perché con lui la squadra giamaicana di staffetta 4x100 ha preso il volo), per poi replicare con gloria e onori ai Mondiali di Berlino del 2009 e a quelli di Daegu nel 2011. Fatta eccezione per la gara dei 100 metri, nella quale rimediò una squalifica per falsa partenza. Per quasi un lustro, Bolt è stato imprendibile. Non c'era storia. La sua progressione negli ultimi metri era micidiale, definitiva, assolutamente proibitiva per gli avversari, che poco o nulla potevano fare per arginare il suo dominio nei 100 e nei 200 metri. Poi, qualcosa è cambiato.

Il 2012 non è iniziato per lui nel migliore dei modi. È vero, ha vinto il Golden Spike di Ostrava e si è ripetuto meno di un mese dopo al Golden Gala di Roma, nella splendida cornice dello stadio Olimpico, eppure sembra che non abbia più lo slancio e la freschezza degli anni precedenti. Si dice che abbia seri problemi alla schiena che gli impedirebbero di allenarsi come dovrebbe. Si dice anche che i tantissimi premi e il tantissimo denaro accumulato negli ultimi tempi abbiano cambiato il suo modo di intendere le gare. Bolt, sicuro e sorridente come non mai, ha fatto sapere che è tutto sotto controllo. Che i problemi, se mai ci fossero, saranno risolti in tempo per le Olimpiadi di Londra.

Eppure, i guai sembrano tutt'altro che trascurabili. Nei primi giorni di luglio si sono conclusi i trials giamaicani, rassegna dei migliori atleti dell'isola che da tempo produce campionissimi. E l'allarme, in casa Bolt, da giallo è diventato rosso. Perché il fuoriclasse che non perdeva mai, il fulmine che tutto il mondo ha imparato ad amare o almeno a rispettare, si è fatto superare due volte in due giorni dal suo "delfino", Yohan Blake, che l'ha fatto secco nei 100 e nei 200 metri, fino a ieri il terreno di caccia preferito da Bolt. Insomma, è chiaro che i conti non tornano.

Se poi, a tutto questo, aggiungiamo anche le parole non proprio amichevoli dello stesso Blake («Sono più in forma di Usain perché mi alleno il doppio di lui. I miei programmi non sono dettati dagli sponsor o dagli ingaggi dei meeting»), beh, è probabile che a Londra non sarà tutto scontato e prevedibile come avrebbe potuto essere se Bolt fosse stato lo stesso degli scorsi anni. Blake ha lanciato la sfida. A Bolt dimostrare con i fatti che negli appuntamenti che contano lui è sempre il migliore.

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