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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2012 alle ore 17:18.
C'è stato un tempo in cui giocare, e possibilmente vincere, contro la Nazionale di basket degli Stati Uniti non era come fare il colpaccio al Superenalotto. Era il tempo in cui il team Usa poteva contare su prospetti straordinari e dal sicuro avvenire, campioni certi (o quasi) del domani, ma non su fuoriclasse già affermati della Nba. Perché troppa sarebbe stata la differenza in campo e lo spettacolo ne avrebbe certamente risentito. I pro Usa della palla a spicchi contro qualsiasi altra rappresentativa? Poco più che un allenamento, si diceva. Poi, arrivò il terzo posto alle Olimpiadi di Seul, nel 1988, e le cose cambiarono. Sì, perché va bene dare anche agli avversari la possibilità di toccare la palla, epperò perdere non piace a nessuno. Tempo qualche mese e la Fiba, massimo organismo della pallacanestro mondiale, concesse l'ok per l'ingresso delle stelle Usa nelle competizioni internazionali. Fu l'inizio della festa. Per gli americani, si intende.
In occasione delle Olimpiadi successive, quelle del 1992 in Spagna, prese forma il Dream team. Appunto, una squadra da sogno. Michael Jordan, Magic Johnson, Larry Bird, Scottie Pippen, Chris Mullin, Karl Malone, Charles Barkley, Patrick Ewing, John Stockton, David Robinson, Clyde Dexler, Christian Laettner. Un best of dei migliori giocatori al mondo. Tutti con la stessa maglia. Un team, meglio, un bulldozer. Gli avversari vengono schiacciati con una facilità disarmante. Pure la Croazia in finale. 117 a 85, medaglia d'oro, è cominciata la festa. Usa di nuovo sopra tutti. Per rimanerci sine die, ovviamente.
Vent'anni dopo, si rinnova la sfida. Golia contro Davide. Team Usa contro il resto del mondo, per un posto in paradiso e nella storia. Perché battere i fenomeni Nba significa sistemare il proprio nome nelle pagine della pallacanestro di tutti i tempi. Nel 1996 e nel 2000, 16 vittorie in 16 partite, oro e gloria, Usa bellissimi e vincenti. Nel 2004, il tonfo di Atene. Tre sconfitte, contro Portorico e Lituania nel girone eliminatorio, quindi il ko clamoroso con l'Argentina in semifinale. Un bronzo che pesa come un macigno e fa male. Passano 4 anni e tutto torna come prima. A Pechino, Usa sopra tutti, ancora una volta, secondo la logica, come da tradizione.
Londra 2012 è la prossima sfida. La Federbasket Usa ha reso noti i nomi dei 12 convocati per la missione inglese. Tanto per cambiare, si parla di extraterrestri: Carmelo Anthony e Tyson Chandler (New York Knicks), Blake Griffin e Chris Paul (Los Angeles Clippers), James Harden, Russell Westbrook e Kevin Durant (Oklahoma City Thunder), Kevin Love (Minnesota Timberwolves), Kobe Bryant (Los Angeles Lakers), Andre Iguodala (Philadelphia 76ers), Deron Williams (Brooklyn Nets), LeBron James (Miami Heat). E all'appello, diramato dal coordinatore Jerry Colangelo e dall'head coach Mike Krzyzewski, non hanno potuto rispondere per infortunio Dwight Howard, Derrick Rose, Dwyane Wade e Chris Bosh. Come dire, potevamo stravincere, ci acconteremo di vincere con 30 punti di scarto.
Punta di diamante di una squadra che come al solito non sembra dare scampo a nessuno, LeBron James, fresco vincitore dell'anello Nba insieme con Wade e Bosh. «Qualsiasi risultato che non sia l'oro sarà considerato una sconfitta», ha ammesso il 28enne che a Cleveland vedono come l'orco cattivo delle favole per via del trasferimento in Florida che è stato visto come un tradimento. James ha vinto l'oro a Pechino, ma proprio non riesce a mandare giù il bronzo di Atene: «Quella medaglia è il ricordo una sconfitta», dice uno degli uomini più popolari (e pagati) degli Stati Uniti. James non è mai stato così forte. Lo conferma lui stesso: «La cosa migliore che mi è capitata è stata perdere le Finali 2011 e non saper giocare come so. Sono tornato alle cose basilari di un cestista e di un uomo. Ho capito che per raggiungere quanto mi stava a cuore avrei dovuto cambiare come giocatore e come persona. È accaduto appena un anno dopo». Quando si dice che il destino premia i migliori.
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