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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2012 alle ore 17:21.

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Per le star milionarie certamente no, ma per stragrande maggioranza degli atleti le Olimpiadi sono l'occasione per arricchirsi o almeno capitalizzare quattro anni di fatiche. Si spiega così la protesta andata in onda nei giorni scorsi su Twitter con l'hashtag wedemandchange e rule40 (#wedemandchange e #rule40) . La prima a cinguettare è stata la campionessa mondiale di corsa Sanya Richards-Ross che si è scagliata scontro le restrizioni previste dal regolamento del Cio per la promozioni degli sponsor.

Il comitato vieta agli atleti, tra le altre cose, di fare direttamente pubblicità ai propri sponsor sui social network. Una regola scritta apposata per chi ufficialmente finanzia i Giochi. La rule40 infatti protegge undici muiltinazionali tra cui Visa, McDonald's e Coca-Cola che per pagarsi "il biglietto" delle olimpiadi hanno sborsato ciascuna 100 milioni di dollari. La campionessa dei 4x400 metri, prima si è sfogata su Twitter e poi si è lamentata con la stampa. «La maggioranza degli atleti non ha sponsor. Per manternersi agli allenamenti devono avere a volte anche un secondo o addirittura un terzo lavoro». Insieme a lei a dar vita alla protesta un altro atleata americano Nick Symmonds , anche lui curiosamente sponsorizzato da Nike. Sono seguiti Lashinda Demus Maria MichtaKhadevis Robinson . Kara Patterson Amy Hastings
Tutti con il seguende micro-messaggio I AM honored to be an Olympian,
Kevin Love, giocatore di basket ha fatto di più postando la sua foto su Instagram mentre indossa una tenuta Ralph Lauren.

La bufera però ha coinvolto prevalentemente atleti Usa. Anche per questo forse è durata davvero poco. Ma per il Comitato olimpico non è stato l'unico grattacapo.

Quelle che dovevano essere le prime social olimpiadi si stanno dimostrando una patata bollente. La greca Papachristou è stata cacciata appena messo piede al villaggio olimpico per un tweet razzista. L'ha seguita a casa Michel Morganella, il difensore sinistro del Novara dopo un commento razzista verso la squadra coreana. Stessa sorte è toccata a due nuotatori australiani, Nick D'Arcy e Kenrick Monk colpevoli di aver postato su Facebook un foto che li ritrae armati fino ai denti in un negozio di fucili americano. A parte qualche sporadico episodio gli atleti twittatori sembrano però aver imparato la lezione. Dopo qualche fiammata inziale italiani (qui in diretta il flusso dei tweet dei nostri olimpionici) e stranieri (qui le star delle nazioni rivali) hanno abbassato i toni.

Da registrare qualche precisazione sulle dichiarazioni rilasciate alla stampa (un classico) come nel caso di Magnini che in serata si è lamentato dei cattivi di Twitter e ha annunciato il suo addio al social network. Un paio di foto ricordo (vedi Andrea Rolla) e molti reweet dei fan prima della competizione (come nel caso della Pellegrini ) . In rete c'è già chi ha accusato il comitato olimpico di aver "normalizzato" le prime Olimpiade social. Un flop? Forse, ma lo show non è ancora finito.

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