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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2012 alle ore 13:10.
Con ogni probabilità, quando arriverete in fondo a questo pezzo il pesista nord-coreano Myong Hyok Kim, che ieri ha preso la medaglia di legno nella specialità 69 kg, sarà già atterrato a Pyongyang. Vietato lo shopping in Oxford Street, nessuna escursione a Greenwich, men che meno al London Eye, da dove si ammira troppo mondo. Meglio che gli atleti del compagno Kim Jong-un non vedano vita, luci, libertà. Meglio che ritrovino al più presto le rassicuranti certezze del regime comunista della Corea del Nord, così dittatoriale, così autarchica, così super-potenza. Nello sport, almeno.
Il medagliere di Londra, dove non pesano il Pil (nel Paese è di 1.800 dollari pro capite), l'export, i diritti umani, è un tripudio per la patria del Giovane leader: con tre ori e un bronzo sono quinti, alle spalle di Cina, Usa, Francia e Corea del Sud. Un tripudio, soprattutto se confrontato con il passato: 41 medaglie (vinte soprattutto nella boxe, nello judo, nel wrestling) in nove partecipazioni ai Giochi, al massimo quattro ori a Barcellona 1992.
Qual è il segreto? L'ha spiegato il pesista Kim Un Guk, oro e record del mondo nei 62 kg, dopo la sua vittoria sul cinese, ed eterno rivale, Zhang Jie: «Nessun segreto: ci spinge il supporto e l'incoraggiamento del nostro leader supremo Kim Jong-un, che aspetta la migliore prestazione da ogni suo atleta».
Pochissime dichiarazioni, sempre riportate attraverso l'interprete dell'interprete perché i 56 atleti della Corea del Nord vivono in una bolla: refrattari ai media, lontani da tutto e da tutti. Nell'era della condivisione planetaria delle notizie, l'imperativo è di non mischiarsi con gli altri, di non mangiare i cibi degli altri, quasi si rischiasse la contaminazione: forse assaporare un po' di libertà può far andare di traverso il credo politico.
Questo è il regime, prendere o lasciare, questo è il credo che Kim e i suoi fratelli amano, tanto da ascoltare l'inno nazionale sull'attenti. Per salire poi in fretta sul primo aereo per Pyongyang. E bye-bye Londra.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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