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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2012 alle ore 12:32.

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Paula Radcliffe (Reuters)Paula Radcliffe (Reuters)

La maratona torna finalmente a casa perché proprio a Londra è nata la distanza canonica di 42,195 km, con la gara del 1908 che si snodò dal Castello di Windsor fino allo stadio, per arrivare davanti al palco reale.

E magari dire alla regina di oggi, Elisabetta II: «Ho vinto per te». Il sogno ossessivo di Paula Radcliffe, 39 anni a dicembre, una delle atlete più amate, più talentuose, più sfortunate, più sognatrici del Regno Unito. Gli inglesi adorano questa donna ciondolante come un apostrofo che non si sa bene dove mettere.

Lei è la maratona al femminile, con la sua zazzera bionda, i suoi due figli e il suo record mondiale. Nel 2003 Paula, laurea in lingue e una grande passione per l'arte, corre la gara di Londra in 2h15'25". Avrebbe sconfitto Emil Zátopek a Helsinki 52 e sarebbe stata in scia ad Abebe Bikila a Roma 60. Da quel momento lei, che veniva dalle corse su lunghe distanze, si vota alla maratona, vince molto a New York e Londra e insegue l'oro olimpico: un'ossessione prima che una missione.

"Come on, Paula, come on": così gli inglesi hanno sognato di darle una mano nella gara della sua città, nella gara che sogni per una vita e che segna la via. Ma, pochi giorni fa, un infortunio a un piede l'ha bloccata ancora una volta. È una sfortuna lunga una carriera: ad Atlanta 96 Paula gareggia nei 5mila e arriva quinta; nel 2000 a Sydney è quarta nei 10mila; ad Atene 2004 fatica e calura la fermano a pochi km dall'arrivo ma le regalano la fama mondiale (nessuno ha dimenticato il suo doloroso afflosciarsi a terra) e a Pechino affonda nel gruppone.

Non ci sta e vuole ridurre la distanza fra talento e successi: «Dicono che ho la testa dura e probabilmente è vero, se questo significa impegnare tutte le proprie forze per uno scopo». Che non raggiungerà neppure questa volta, niente regalo alla regina Elisabetta.

La sua gara - persa, a questo punto - fra sé e il sogno è la stessa che hanno corso le donne per avere accesso alla maratona, in programma ai Giochi solo dal 1984. Non ce la possono fare, è uno strazio delle carni, dicevano gli organizzatori, senza rendersi conto che le donne, coriacee e testarde come Paula, si allenavano per avere gli stessi diritti degli uomini. Inizia la greca Stamatis Rovithi ad Atene 1896 un mese prima della gara ufficiale; sempre ad Atene, la connazionale Melpomene, allontanata dai giudici, corre con gli uomini e arriva un'ora e mezzo dopo Spiridon Louis. Ma arriva.

Più che una maratona nella storia, una corsa ad ostacoli fra carte bollate, diritti stropicciati e desideri soffocati: del 1966 a Boston è il primo tempo ufficiale. Roberta Gibb fa 3h21'25". La svolta nel 1979 a New York: Grete Waitz, mito dell'atletica leggera, fa un tempo monstre (2h27'33") se confrontato al 1966.

Londra 2012 è l'ottava maratona olimpica per le donne: doveva essere quella di Paula Radcliffe. Non lo sarà, dannazione. Le resta, se le parole sanno ancora consolare, un verso di Eugenio Montale: "Se la notte sogno, sogno di correre una maratona".

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