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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2012 alle ore 13:23.

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Stringere forte gli anelli e un po' di gloria è la vita di Matteo Morandi, 30 anni, il miglior ginnasta che l'Italia abbia oggi con 4 bronzi mondiali e 3 allori europei. Era anche il mestiere di Alberto Braglia, primo oro azzurro nella storia delle Olimpiadi. A Londra 1908 la ginnastica non "era" artistica perché quell'aggettivo sembrava così poco virile.

La disciplina di questo poverissimo garzone di panetteria, baffoni a manubrio ed eleganza da signore, si chiamava heptathlon: sette diversi attrezzi ma una sola medaglia, altrimenti Braglia sarebbe tornato a Campogalliano (Modena) con sette ori. Il nostro Phelps, un Phelps d'altri tempi.
Certo, senza le faraoniche sponsorizzazioni dello squalo di Baltimora: dopo i Giochi di Londra, Braglia si ritrova allo stesso punto di partenza, la povertà. Si inventa mimo, saltimbanco, giullare nei circhi, e fino in America, per recuperare qualche penny; gli muore piccino anche un figlio. E la federazione di ginnastica infierisce, escludendolo dalla nazionale in quanto professionista. Sono anni terribili per Braglia, che però ottiene la riabilitazione a dilettante e parte per Stoccolma 1912, dove è il primo portabandiera azzurro. Vince altri due ori, nel concorso individuale e in quello a squadre. Anche in questa occasione, più dei 10 che gli assegnano i giudici, è il contorno a farne una stella. Soprattutto nella gara al cavallo con maniglie, i giudici appuntano alcuni aggettivi mai più rivisti (neppure con la libellula rumena Nadia Comaneci) nella storia della ginnastica olimpica: «superbo e perfetto».

Che gli valgono le attenzioni del re Vittorio Emanuele III: il sovrano lo invita a esprimere un desiderio. Braglia non sa chiedere altro che un lavoro ed entra alla manifattura Tabacchi di Modena, poi sarà bidello di una scuola, gestore di un'osteria e custode della palestra in cui aveva iniziato come autodidatta.
Non lo spaventano tenute e verticali, salti e uscite. Il suo vuoto è sempre lo stesso: mettere vicino il pranzo con la cena perché di gloria e medaglie - a inizio Novecento, senza tv e senza sponsor - non si viveNeppure se, scegliendo fra la vita e la morte, si sceglie l'America.

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