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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2012 alle ore 08:50.

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Un'esplosione di muscoli, per il più grande spettacolo della terra. Un lampo di incontenibile energia. Si fa presto a dire fulmine, ma ieri sulla pista dell'Olympic Park nella finale dei 100 metri, Usain Bolt è stato la saetta che tutti volevano e speravano di rivedere.

Ha fermato il cronometro a 9.63, record olimpico spinto dall'urlo di un pubblico che idealmente vestiva la maglia giallo-verde del paese più veloce del mondo. La Giamaica ha piazzato Yohan Blake al secondo posto, lasciando al terzo l'americano Justin Gatlin nella più veloce finale dei 100 metri di tutti i tempi con sette finalisti su otto sotto i 10 secondi. Ieri la repubblica caraibica ha portato i suoi colori anche all'oro e al bronzo nei 100 femminili. Un regalo a sé stessa per celebrare - la ricorrenza è oggi - i 50 anni di indipendenza guadagnata il 6 agosto 1962 quando si affrancò dal giogo di Londra. La storia gioca scherzi bizzarri complice, talvolta, lo sport.

La cronaca della corsa è pretendere di fermare un istante, ma la dinamica con Usain Bolt è sempre la stessa. L'avvio relativamente lento, poi ai 60 - 70 metri la progressione incontenibile. Yohan Blake è schiantato sulla linea del traguardo dietro, molto indietro - per gli standard di una finale olimpica - gli altri. Lo scatto non ha convinto neanche il vincitore. E' stato franco ai microfoni della Bbc. "La partenza mi ha impensierito non è stata la miglior reazione possibile, ma sapevo che sarebbe andata così".

Non tutti lo credevano, anzi i più dubitavano. Un quarto di finale nel segno della…pigrizia, chiacchiere su fastidi alla schiena, avevano spinto molti a immaginare che il fulmine potesse essere Yohan Blake. Un nome per tutti, il nome di uno che se ne intende: Maurice Green. Nelle vesti di commentatore il velocista americano, oro a Sidney, ex primatista del mondo ha immaginato una corsa in salita per il recordman, ha sostenuto che avrebbe vinto la Giamaica, ma che non avrebbe vinto Usain. Parole che hanno alzato il tasso di aspettativa per la Corsa. Quella con la C maiuscola, la regina dell'atletica, perché questo sono e continuano ad essere i 100 metri piani.

Parole contraddette, in un ideale conflitto fra Flash Gordon in carne, muscoli ed ossa, da Frankie Fraedericks incline a candidare Bolt all'oro. "E' di una categoria diversa e a renderlo tale – ha spiegato - è stata la consapevolezza di riuscire a partire. In passato non era così, da quando ha imparato ad alzarsi dai blocchi, Usain appartiene a un altro mondo".

Londra non ha mai avuto dubbi: aspettava, tifava, sognava Bolt da molto prima del via alla gara. E il cuore di Londra, nei suoni e nel ritmo di un lungo ruggito degli spettatori, ha accompagnato la corsa di Usain per nove eterni secondi e pochi centesimi. Ha portato l'alto, dinoccolato atleta giamaicano fino al filo di lana. La scelta del pubblico era apparsa evidente fine dai quarti di finale, era stata riaffermata nelle semifinali, la si ascoltava in tv e la si leggeva sui giornali. Da giorni, da settimane. L'epica dello sprinter che macina primati mondiali come nessuno prima di lui, nell'immaginario collettivo – non solo londinese- doveva schiantare la storia. Usain Bolt non ha ritoccato il suo primato mondiale, ma ha fatto tutto il resto che era possibile sognare.

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