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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2012 alle ore 12:28.
Se il modello è quell'azzurra di 47 anni che arriva quinta alla nona finale in otto Olimpiadi, allora la strada è segnata per gli azzurri dai nomi carichi di consonanti ma ormai così dolci alle nostre orecchie.
Josefa Idem nasce nel 1964 nell'allora Germania Ovest, gareggia ai Giochi dell'84 e dell'88 con la maglia tedesca, poi, dal 1990, dopo il matrimonio con il suo allenatore Guglielmo Guerrini, veste l'azzurro, e sappiamo com'è andata: quattro medaglie olimpiche e venti allori mondiali. E oggi un quarto posto che è un oro alla carriera e alla serietà.
Forte, eterna, vincente, donna dello sport e donna della politica: un totem.
Ai Giochi di Londra quasi il 10% dei 291 azzurri è straniero: un record. Sono atleti nati in Italia da genitori stranieri, altri sono arrivati da piccoli e altri sono naturalizzati dopo il matrimonio. Patchwork di provenienze, culture, stili di vita, religioni, cibi e lingue. Eppure cantano l'inno di Mameli e sulla loro pelle portano la scritta Italia. Sono i nuovi fratelli d'Italia.
A Londra ha gareggiato la judoka Edwige Gwend, dice "sette" come lo dicono solo a Parma e arriva dal Camerun; la cinese Wenling Tan Monfardini ha rappresentato il tennistavolo azzurro, come pure hanno difeso l'Italia Natalia, Danijel, Libania, Maximilian, Jacques. E le squadre di pallanuoto e pallavolo sono esperimenti riusciti di integrazione, di famiglie allargate: nel volley maschile, approdato alla semifinale contro il Brasile, ci sono russi, polacchi, croati; nel Settebello, anch'esso in semifinale, faticano cuori brasiliani, croati, ungheresi, cubani.
La convivenza è possibile. Lo dice anche l'esperienza di Noemi Batki, 25 anni, tuffatrice, specialità piattaforma 10 metri. La sua cadenza è veneta, le sue origini ungheresi: ha già allori europei in bacheca. Qui, cerca il tuffo che le spalanchi la carriera e il cuore degli italiani. «La mia tattica è sempre la stessa - spiega - liberare la mente da ogni pensiero perché corpo e cervello abbiano la libertà di fare quel che sanno». Cioè vincere il vuoto dell'acqua, la paura di volare. E tagliare l'acqua dalla vertigine dei 10 metri per squarciare le ritrosie. Quelle che vediamo ancora - ahinoi - nelle nostre strade. Ma l'Italia sono loro: Noemi e i suoi fratelli.
Loro non sono italiani, sono l'Italia. Quella delle nostre scuole, degli oratori, delle vie di un sabato pomeriggio, di una pista di atletica e di un campo di calcio. Come ci ha fatto capire Hulk Balotelli, togliendosi la maglia al secondo gol contro la Germania e stringendola forte. Perché lui, figlio di ghanesi, partito da Palermo, è arrivato a Brescia per poi giocare, monello e incontenibile, a Manchester. Lui sa che esiste un'Italia con radici forti e lontane. Si chiama united colors of Italy.
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