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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2012 alle ore 08:48.
LONDRA - Si può dire che sia finita meglio del previsto e che sia semplicemente finita al meglio. Ci riferiamo all'Italia che con un colpo di reni finale ha agguantato nuove medaglie sebbene non tutte del colore auspicato, terminando a quota 28 oltre le previsioni del presidente del Coni Petrucci.
Ma ci riferiamo anche al senso globale dei trentesimi Giochi di Londra chiusi ieri con una spettacolare performance musicale allo stadio olimpico. Sono sfilate migliaia fra star e starlette, musicisti di rinomato spessore internazionale, da Annie Lennox a George Michael fino alle riunite, per l'occasione, Spice Girls.
Ce n'era per tutti i gusti nella rivisitazione della storia britannica in punta di nota musicale andata in scena in uno stadio trasformato in palco di una festa dedicata alla creatività di Londra e della Gran Bretagna tutta. E anche questo è il senso ultimo di Olimpiadi che hanno avuto l'ambizione di ricompattare un Paese intero, nel pieno di una crisi che morde dolorosamente anche quassù dove l'euro non esiste, ma fiorisce la sterlina.
«Nulla è andato davvero storto. Sono stati Giochi favolosi e posso dirmi felice e orgoglioso». Con la ridondanza che non si nega mai, il presidente del Cio Jacques Rogge ha applaudito Londra 2012 sottolineando soltanto che in vista di Rio 2016 «il sistema di assegnazione dei biglietti sarà rivisto». Essenziale perché in questa edizione made in Britain non ha funzionato come previsto.
Una macchia che non cancella i meriti dell'organizzazione diretta da Lord Coe, quel Seb Coe che ha battuto le piste olimpiche per molti anni e che ora spera di potere guidare la federazione internazionale di atletica leggera.
Sport appunto e lo sport ha conosciuto passaggi storici in questi Giochi. Anche Rogge ha dovuto sbilanciarsi davanti all'evidenza. «Usain Bolt – ha scandito – è una leggenda della velocità ancora in attività. E' un'icona. E'….il miglior spinter di sempre». E' quello che tutti volevano sentire dalla bocca del presidente del comitato olimpico che per missione istituzionale è costretto ad essere ecumenico nel distribuire giudizi. Con Bolt non gli è stato possibile. Il record del mondo sulla 4 per 100 con quell'ultima frazione in devastante progressione è stato soltanto il regalo finale di corse indimenticabili.
La memoria è corta per ricordarle tutte: dal doppio nel fondo – 5 e 10mila metri- del somalo-britannico Mo Farah, alle ultime vasche d'oro del recrdman di sempre Michael Phelps, a Valentina Vezzali che anche Rogge ha collocato, nel corso della conferenza stampa finale, fra i nomi che hanno "fatto la storia" dei Giochi. Giù il cappello Valentina e giù il cappello anche a Iosefa Idem prima donna a gareggiare in otto edizioni delle Olimpiadi.
I momenti di gloria si perdono nei ricordi, ma l'accento, per Londra, è ora tutto puntato sulla legacy, ovvero sull'eredità che la trentesima edizione, terza in terra britannica, lascerà non solo nelle infrastrutture che dovranno consolidare l'espansione della capitale nel suo fianco orientale.
Il premier David Cameron s'è appellato allo "spirito olimpico" per ridare vigore a un'economia in crisi profonda. Una prima vittoria se l'è garantita se è vero che i sondaggi hanno messo fine alle polemiche sui costi. Nove miliardi bruciati nei Giochi potevano apparire come un insulto in anni di cinghia strettissima. Non la pensa più così la stragrande maggioranza dei britannici – non solo londinesi, si badi bene – felici di tanta munificenza in cambio delle gioie di queste settimane.
Team GB, lo ricordiamo, è andato oltre ogni previsione nel medagliere e i successi attenuano il senso di crisi. Ora che la festa finisce bisognerà vedere quanto rimarrà dello "spirito" nel tessuto profondo del Paese. Per l'establishment politico, invece, la competizione comincia adesso che si spengono gli ultimi applausi.
David Cameron cercherà di incassare il consenso popolare, ma sulla sua strada trova già inattesi ostacoli. Uno su tutti, quel Boris Johnson, sindaco Tory della capitale, che firma con il suo nome una fetta importante del successo di London 2012, tanto da puntare, crediamo, al bersaglio più grosso: la poltrona di Downing street.
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